venerdì 17 febbraio 2012

Accordando il Pleyel

Sto accordando il Pleyel 1870, pianoforte verticale in radica di ciliegio, piccoli candelieri in bronzo, tasti d’avorio ed ebano e, dulcis in fundo, di un’arpa in legno. Dirà l’attento lettore:”Ma che ci fa un’arpa dentro ad un pianoforte?”. Ebbene, così si chiama quel sostegno che nei pianoforti moderni è fatto di ghisa ed ospita i bischeri, ovvero i perni su cui si arrotolano le corde per metterle in tensione. Ma anticamente codesto marchingegno era fatto –come nel nostro caso- di legno, duro e pesante ma sempre legno. Il legno va particolarmente soggetto alle variazioni di temperatura ed umidità, variazioni che nelle case di campagna sono all’ordine del giorno ed a cui reagisce aumentando o diminuendo di volume. Questi movimenti tendono ad allentare la presa del legno sui bischeri ai quali non pare il vero di poter smollare un po’ di tensione, tanto non è certo colpa loro: il risultato però è che il pianoforte risulta terribilmente scordato, perché lungi dal cedere in modo omogeneo e tutti nella stessa misura gli sconsiderati bischeri (da qui si comprende il motivo del loro nome) cedono ognuno come gli pare, così a vanvera, il Do va giù di un semitono, il Fa di tre comma, il Sol è calante ma non troppo…. Ma c’è un ulteriore ostacolo: da un certo punto in poi della tastiera le corde si sdoppiano, per questioni di timbro e potenza del suono e poco dopo si triplicano, per la gioia dell’accordatore. E’ chiaro che le coppie o triplette di corde che si suppone abbiano lo stesso suono, devono in effetti suonare all’unisono, se no la confusione armonica è indescrivibile. Bisogna perciò ammutolire due delle tre, o una delle due, corde e far suonare quella libera tirando il bischero corrispondente finchè il suono è quello giusto. Non è possibile accordare il La a 440, perché l’arpa mollerebbe e non riuscirebbe a tenere l’accordatura: perciò devo accomodarmi su un suono più basso, possibilmente compatibile con gli altri strumenti, il che chiaramente impegna ad accordare tutta la tastiera in funzione di quel suono.
Molti accordatori hanno il cosiddetto “orecchio assoluto”: riconoscono una nota quando la sentono risuonare, e la possono nominare. Questa capacità permette loro di far un ottimo lavoro anche senza diapason (quell’attrezzino a forma di U che, percosso, risuona con una nota predefinita, in genere il La) ed altri marchingegni –che io mi dovrò procurare, non essendo dotato di orecchio assoluto, ma anzi di orecchio assai relativo. Questa relatività però mi consente di non essere troppo esigente riguardo alla perfezione dell’accordatura, e di eseguire le mie operazioni ad orecchio cercando un’armonia generale fra le note più che la precisione nella singola nota. Disse la volpe guardando l’uva. Ah, ecco un particolare che dimenticavo: ci sono 41 tasti a tre corde, 33 tasti a due corde e 11 tasti ad una corda. Totale corde: duecento. Altro che orecchio assoluto!

2 commenti:

  1. ma guarda te chi si risente...!
    il mitico Pleyel 1870 che fu l'oggetto del mio primo commento. settembre 2009...o ricordo male?
    insomma è proprio lui?!
    con tutti i suoi tasti d'avorio ed ebano e l'arpa con tutti i suoi bischeri, fu lui tra i primi che s'arrampicò sobbalzando in vetta ai Meli?

    ascolta Scudo.
    questa rimpatriata di ricordi mi stimola una proposta.
    perché non riscrivi per i nuovi e vecchi fedeli lettori quei tempi?
    di come è andata. del perché dei Meli. ma anche dei concerti che facevi con bandana e chitarra Gilmer?
    insomma, questo sì va riscritto. l'origine, i sogni di allora ed i viaggi...
    ma anche le storie indiane delle Ruote di Medicina ed i cavalli selvaggi di Terpin o la ruspa umana Mase o lo sfortunato mago delle stufe, Martino...

    Scudo, le nuove generazioni non possono non sapere!
    approfitta ora, che fuori è freddo ed il fuoco nel caminetto aiuta il rimembrar...

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