lunedì 31 marzo 2014

Logan



         Era un cavallo irlandese, grande, grosso e nero. Logan era il signore incontrastato di circa un ettaro di verde brughiera d’Irlanda, nel sud-ovest dell’isola. L’appezzamento era recintato, ma il recinto quasi non si vedeva, e lui sembrava libero.  Custodiva il territorio intorno alla casa di Roy, un nostro amico che non ci stava quasi mai, essendo quel luogo un suo buen retiro raramente utilizzato.  Quando arrivammo con le macchine, una sera di agosto, era ormai buio pesto ed eravamo stanchi e provati da svariate ore di guida sulle famigerate stradine irlandesi tutte curve ed affiancate da incessanti siepi che impediscono ogni visuale laterale.
        Appena sceso dall’auto e stiracchiato nel buio più profondo mi accorsi che alle mie spalle si era materializzata un’entità colossale ed invisibile, ben più alta di me e molto vicina, e che mi respirava sulla spalla. Era Logan, il cavallo. Ma io ancora non lo sapevo.
         Logan in realtà era un bravo ragazzo: la mattina si affacciava alla finestra dal di fuori, con quell’occhio fisso e grandissimo, e mi fissava mentre preparavo il tè ed imburravo il pane.  Batteva lo zoccolo per terra, tanto per segnalare le sua presenza.  Roy usciva, gli metteva la sella e se ne andava a fare un giro. Sarebbe piaciuto anche a me, ma non ero mai stato su un cavallo in vita mia.  Il cancello della proprietà era tenuto chiuso da una corda con una pietra legata in modo che pesasse dall’altra parte di un misero muricciolo a secco. Una mattina presto vedemmo Roy  che rientrava in casa con aria preoccupata: Logan non c’era più. Era uscito dal cancello, che io avevo chiuso la sera prima: ma dovevo averlo chiuso male e  mi sentivo terribilmente responsabile. E’ assai sgradevole essere ospiti in casa di qualcuno e come ringraziamento perdergli il cavallo.  Pensavo già a come avrei potuto rimediare al danno, chissà, forse dovevo ricomprare a Roy un cavallo nuovo, o almeno una capra che gli tenesse pulita la brughiera.  Marina ed io partimmo alla ricerca dell’infame Logan arrampicandoci su per le colline e scrutando l’orizzonte per vedere una forma che somigliasse a un cavallo. Improvvisamente vidi una di quelle entità magiche che popolano le brughiere irlandesi, un’ombra scura che spariva dietro una roccia.  Eravamo su un cocuzzolo disseminato di grandi pietre tondeggianti. In piedi su quelle rocce si poteva vedere l’orizzonte fino al mare lontano…. Ma niente Logan.
         La Banshee era appena scomparsa dietro un roccione, un’ombra scura, veloce e appena visibile. Speravo che fosse Logan, il cavallo fuggiasco, anche se l’ombra sembrava volare e non ricordavo che Logan volasse. Mi trovai ben presto con i piedi immersi in una tenace palude piena di graziosi fiorellini che prima di entrarci sembravano un delizioso praticello. Infangato e deluso, balzellando di roccia in roccia tornammo pian piano alla macchina.
         A casa, Roy  era piuttosto allegro e la sua leggerezza pian piano mi contagiò. “Uelà”  disse con accento irlandese: “Ho scoperto le cacche di Logan vicino a….”  La speranza si riaccese. Tutti in macchina, con la sella e i finimenti, a scrutare la campagna. Dopo un’oretta di giri e girelli in quelle stradine minuscole strette fra muretti e siepi, ecco che Marina vede Logan, felice e tranquillo che si foraggia in un vasto e verdeggiante campo di erba altrui, del tutto ignaro ed indifferente alle mie angosce. Avvicinamento a Logan, sella su Logan, Roy cavalca verso casa. Sembrava di esser tornati a qualche secolo fa, quando i cavalli si comportavano bene e non davano gli spasimi ai poveri italiani in visita.
         Ho ricostruito il muretto che reggeva il cancello e sostituita la misera chiusura a cordicella con una più efficace. Ho persino cavalcato Logan, c’è una foto che lo prova, la mia prima volta su un cavallo. Il terreno era piccolo, ma molto accidentato: religiosamente al passo, su e giù per monticelli e passaggini, fra eriche e ginestre….Molto divertente. Grazie, Logan.