Pare che ogni
tanto faccia bene alla psiche liberarsi rivisitando antiche tragedie,
raccontandole con il senno di poi, quello che grazie al distacco temporale può
permettersi un po’ di ironia e di humor.
Situata in un
ridente e famoso paesello dell’alto Veneto la Kinderheim Stella Alpina era
un’ordinata istituzione che d’estate ospitava i giovanissimi figli di chi
poteva permettersi di pagarne la retta. Graziosamente addobbata da cascate di
gerani e lobelie si affacciava sulla stradina che conduceva alla locale panetteria
e poi alla Statale. Era mia opinione che la Signorina de Maso, direttrice e
proprietaria, avrebbe dovuto essere lei a pagare per il privilegio di avere
così tanti soggetti da vessare e torturare, in tal modo soddisfacendo i propri
istinti sadici: ma questo non accadde mai, e dunque fui per qualche anno
infelice ospite estivo di quella disciplinata casa i cui mobili di cirmolo, intagliati
e decorati, e le cui tendine fiorite sottintendevano uno stile “pugno di ferro in
guanto di velluto”.
Ognuno di noi
micro-ospiti arrivava con un bagaglietto di vestiti monogrammati e con svariati
libri e quaderni da dedicare ai compiti estivi. Un ultimo saluto ai crudeli
genitori che dopo qualche attimo si sarebbero dileguati verso lidi più felici,
lasciandoci nelle grinfie della Signorina de Maso: “Ciao piccino, ci vediamo
presto! Comportati bene, mi raccomando…”
L’argentea Fiat 1100 di famiglia
scompariva nelle curve della strada in mezzo alle abetaie.
Forse non ero
il più piccolo della truppa, ma certo ero uno dei più piccoli e questo mi
garantiva una speciale indesiderata sorveglianza da parte delle scagnozze
azzurro-vestite che erano la longa manus della de Maso. Costoro ritenevano
indispensabile che a colazione io mi bevessi senza smorfie una tazzona di latte
bollito con denso strato di panna sulla superficie –cosa da me aborrita- e con
occhio di falco controllavano che facessi il mio dovere in bagno. La mattina
presto venivo strigliato senza pietà con una spugna che avrebbe dovuto essere
in realtà destinata ai cavalli, in piedi nella vasca e maneggiato così da
offrire ogni lato all’obbligatorio trattamento. Acqua bella fresca, si capisce.
Asciugamani rigidi e freddi di cotone intessuto d’acciaio,
Alle due del
pomeriggio, dopo un lauto pasto che troppo spesso sapeva di sedano lesso,
ognuno riceveva una coperta di due metri per due e la stendeva sul prato del
giardino dietro casa. Quel personale riquadro diventava il nostro spazio per le
successive due ore: non era permesso farsi visita di coperta in coperta, né
allontanarsi dal proprio quadratino. Non capivo bene la regola, se non per il
fatto che garantiva silenzio e quiete nelle due ore di pennichella che
impegnavano la Signorina de Maso ogni pomeriggio.
La raccolta di
fragoline e mirtilli nel bosco era certamente uno dei momenti migliori delle
mie giornate. Riempivo enormi foglie di non so quale pianta con miriadi di
deliziosi fruttini che spesso divoravo tutti insieme, salvo poi doverne
raccogliere altri da portare all’ammasso in cucina, dove venivano processati in
crostate ed altre amenità. Un bel giorno in mezzo al bosco fui colto da
improvvisa incomprensibile deliberazione: veloce corsa e poi balzo oltre a dei
cespugli, nell’ignoto.
L’ignoto in realtà si rivelò essere un ammasso di rovi che
effettivamente attutì l’impatto, ma in cambio non mi volle lasciar andare se
non dopo lunga lotta ed innumerevoli graffi. Mi riempirono di cerotti, ed una
bella mattina ecco arrivare la Signorina de Maso nella cameretta che abitavo
con altri tre colleghi. Il sorriso che aleggiava sulle sue labbra sottili era
foriero di sventura. Sollevò le coperte ed uno a uno mi strappò tutti i
cerotti, crosticine comprese: rimasero i segni rosa delle neo-cicatrici
sperduti fra vastità di pelle d’oca. E’ così che si formano i veri uomini.
Nei confronti
degli altri ospiti avevo un solo vantaggio: sapevo disegnare i cavalli. Li
disegnavo solo di profilo, è vero, ma sembrava essere sufficiente a farmi
ottenere un po’ di considerazione, soprattutto dalle fanciulle. Avvilito dalla
quotidiana panna nel latte e dalle strigliate mattutine avevo pur bisogno di
rinfrancare ogni tanto il mio amor proprio.
Naturalmente,
essendo parte intrinseca del mio destino, mi innamorai di una delle ragazzine
presenti, Lia Marzuoli, che era bellissima, un po’ più grande di me e riusciva
a saltare le staccionate senza problemi, cosa che ammiravo moltissimo. Fu un
amore senza speranza e temo unilaterale, osteggiato da varie cause fra cui
soprattutto la lontananza fra le coperte pomeridiane.
Da questo
racconto penso si capisca bene come la giornata più ambita fosse quella della
partenza, quando infine compariva la 1100 con mamma e papà giunti a salvarmi
dalla giungla alpina infestata dalla Signorina de Maso.
Ah, si torna a
casa! Ah un pollo arrosto con patatine fritte….