mercoledì 28 marzo 2012

Cronache della Montanina: Capitan Solo

    Qualche volta le covate… Dopo lunga e trepidante attesa, incoraggiamenti e carezzevoli e suadenti cococo devo purtroppo confessare che tutti gli sforzi coverecci della nostra Covatrix hanno sortito un effetto un po’ deludente: un solo pulcino è felicemente uscito dall’uovo ed ora sgambetta come se il mondo fosse tutto suo. Ed in effetti, essendo da solo, si gode la vasta mamma in lungo e in largo entrando ed uscendo da sotto le piume, facendo capolino ed approfittando di tuti i vermetti e le larve che lei gli indica con piccole beccate. L’appartamento che avevo preparato per una numerosa nidiata verrà in seguito occupato da pulcini ahimè d’importazione, ma per il momento fornisce tutti i comforts alla coppietta mamma-figlio.
    Dev’essere successo che, per mio grave errore di valutazione, ho messo troppe uova sotto la chioccia e qualcuna ogni tanto dev’essere rimasta in parte scoperta, raffreddandosi un pochino… Anche la giovane età del gallo padre deve aver avuto il suo peso perché alcune uova non si son rivelate fertili e ad una ispezione finale, quando cioè si prendono in mano una ad una e si scuotono un pochino, sciacquavano: segno di mancato sviluppo dell’embrione. Almeno quattro o cinque però avevano il pulcino pronto ad uscire, e temo che gli sia mancata la forza per l’impulso finale, quello che, dopo che il pulcino dall’interno dell’uovo ha fessurato il guscio a colpetti del piccolo rostro che ha sul becco, gli permette di venire al mondo.
    Insomma, una tragedia. Per fortuna anche le galline come tutti gli animali che ho conosciuto hanno una memoria particolare. Vivono nel qui ed ora e la loro memoria funziona a cerchi: quando escono da un cerchio di memoria per entrare in quello successivo, del primo dimenticano tutto tranne ciò che serve alla sopravvivenza. Non intrattengono reconditi pensieri, rimpianti e rammarichi. Non immaginano il futuro, non pianificano se non nell’immediato. Beate loro.
    Capitan Solo però è un bellissimo pulcino e diventerà di sicuro l’orgoglio del pollaio, a suo tempo. Intanto è al centro dell’attenzione, accudito, fotografato… Speriamo che essendo figlio unico non ne esca troppo viziato!

giovedì 22 marzo 2012

Libri: random

    Dopo aver velocemente percorso un buon tratto della mia memoria libresca, e prima di esagerare con una ricerca forse più approfondita ma temo meno spontanea, ho pensato di dare un’idea di libri che ritengo importanti, anche se “random”. Sono opere un po’ particolari, che offrono prospettive molto inusuali riguardo a temi che spesso nella mia ignoranza avevo dato per scontati e già digeriti. In realtà mi ero semplicemente appisolato sul comodo cuscino delle spiegazioni accademico-banalotte, senza mai entrare in corpore vivi e ben guardandomi dal formulare domande di difficile risposta.
    Un libro decisamente istruttivo e ricco di informazioni è “Indian Givers”, tradotto in “Gli indiani ci hanno dato”, di Weatherford. In un certo senso appartiene alla categoria di cui fan parte anche Diamond ed altri (quello delle Colonne d’Ercole, per capirsi). E’ difficile pensare alle nostre tavole imbandite e prive di pomodori, patate, melanzane, mais, e mille altre lecornie cui abbiamo avuto accesso solo dopo esser giunti in America. O rendersi conto dell’importanza dell’arrivo dei carichi d’argento, che permisero all’Europa di avviarsi sul sentiero della modernità grazie alla diffusione del denaro in moneta, che introdusse il concetto di risparmio, che a sua volta consentì i primi passaggi di casta: immaginate un contadino che per tutta la vita lavora come uno schiavo e che finalmente, dopo generazioni di servitù senza speranza, può pian piano metter da parte un gruzzoletto per far studiare un figlio, o per dotare una figlia, o per aprire un negozietto nel borgo più vicino. Si chiama mobilità sociale, un fenomeno con cui stiamo ancora facendo i conti.  Indian Givers illustra svariati altri aspetti della colonizzazione di ritorno dalle Americhe: i nuovi colori per la tintura delle stoffe, ad esempio. Fino all’arrivo dei pigmenti oltreoceanici noi poveri europei avevamo a disposizione una molto minore varietà di tinte: basti pensare alla famosa porpora che, provenendo dalla manipolazione di miriadi di molluschi ed essendo dunque costosissima era usata solo dai cosiddetti “porporati”, ovvero,  ma guarda che strano, ecclesiastici ed imperiali. I contadini erano sobriamente vestiti di sacchi marroni e brache grigiastre.  Per fortuna le importazioni dal sudamerica permisero anche ai più poverelli di indossare cravatte multicolori e calzini policromi.   Ed il cibo? Patate. Pomodori, melanzane, peperoni, zucche, granturco, girasoli, molte varietà di fagioli, pistacchi, spezie, bacche… Ve l’immaginate la pizza coi peperoni senza peperoni?
    Di tutt’altro argomento è “La strega” di Michelet. Si tratta di una dettagliata panoramica di un periodo della storia europea che facciamo di tutto per dimenticare o almeno minimizzare, il medioevo, ed offre un punto di vista affascinante –soprattutto all’inizio- quando descrive la tipica capanna nel bosco, isolata ed abitata solo dalla donna di casa (marito e figli grandi sono cooptati dal feudatario per il proprio esercito) e qualche neonato. Il fuocherello nel camino, nessuno con cui parlare, la solitudine, i Lari e Penati nelle loro nicchie che pian piano prendono vita e sembrano rispondere… La genesi del “diabolico”.
    Infine, e non perché manchino ulteriori esempi bensì perché non si può andare avanti per sempre, ecco qua un libro di piacevolissima lettura che, mantenendo in sospeso ogni considerazione sulla sua totale veridicità, interesserà coloro che han viaggiato per l’India e dintorni: Shantaram, di Roberts. E’ un’epopea, un’avventura romanzata ma molto efficace: e parla di aspetti della vita indiana che il viaggiatore difficilmente incontra nei suoi pellegrinaggi, che di solito avvengono per il lungo e per il largo ma non in profondità.
    C’è dunque da leggere un bel po’, e quindi vi lascio alle vostre poltrone di lettura. Io invece devo innestare una Misen Jaromelska le cui marze stanno in frigorifero su una mela selvatica vicino all’oliveto. A ciascuno il suo destino.

domenica 18 marzo 2012

Covatrix

    Buongiorno. Eccomi riemerso dopo una lunga notte di silenzio informatico: per dodici giorni il mio server telecom mi ha lasciato a piedi e dopo innumerevoli lamentele, minacce ed argute argomentazioni ho infine deciso, insieme a moglie Marina, di utilizzare il satellite. Nuova antenna, nuovi cavi, nuove lucine led danzanti e soprattutto finalmente si può navigare, non dico col vento in poppa ma almeno galleggiando e procedendo ad una velocità che è appena la metà  di quella promessa da contratto. Ecco un aspetto dell’italico vivere che faremmo bene a cambiare. Pare infatti che non solo ti promettano, per dire, un mega (e te lo facciano pagare), e che devi esser contento se te ne arriva mezzo: occorre anche tener conto della furbissima pratica per cui il gestore ti rallenta il flusso se tu insisti a navigare a lungo (linea flat, perciò è chiaro che vuoi poter navigare a lungo). Si vedrà.
    Nel frattempo permettete che vi aggiorni sugli avvenimenti del territorio Montanino, perché pur essendo giusto nutrire le celluline cerebrali con informazioni libresche, non dobbiamo distrarci da considerazioni apparentemente più banali ma in realtà molto importanti, forse addirittura più importanti.
    Per esempio, una delle mie amate galline, indifferente all’esistenza di Dickens e Thackeray, è andata in cova. Subito approfittando dello stato ipnotico in cui si trova, le ho infilato sotto altre dieci uova, così che adesso ne ha quindici da sorvegliare. All’inizio ne lasciava fuori una o due, ma poi è riuscita ad assumere un forma bidimensionale, diventando una specie di pizza piatta e larghissima da cui sporge un po’ eccentrica la testolina. Siccome è inopportuno disturbarla mentre cova, anche perché dà certe beccate assai dolorose, è bene limitare le visite e mantenere le conversazioni sobrie e sintetiche. Io dico “co co co” quando le porto un po’ di pappa o qualche insalatina o l’acqua, in parte per rassicurarla ed in parte per educare i pulcini in formazione dentro l’uovo. Bisogna anche tener fuori dai piedi le sue sorelle che sono curiose e pettegole e vorrebbero entrare nella nursery non si sa a far cosa. Solidarietà, immagino.
Dopo ventun giorni in genere si schiudono le uova, si sente un pigolìo sommesso e poi ecco spuntare dalla foresta di penne e piume materne una minuscola testina pigolante ed umidiccia. Da quel momento in poi, avendo cura di togliere i gusci rotti, c’è un via vai continuo da sotto la chioccia a fuori dalla chioccia ed intorno, sopra e dappertutto. Mancano ancora una decina di giorni alla schiusa delle uova, vi saprò dire.
    Tempo di potature –vigna, frutti, olivi, rose e giardino. -, di lavorazioni piccole e grandi, di impianto dell’orto, di taglio di un po’ di legna per l’inverno prossimo. Occorre anche pensare –e meglio ancora spennellare- alla pasta da tronchi: calce idrata, litotamnio, propoli, rame, zolfo, mycosin o altro fungicida. Sciolto il malloppo in acqua sufficiente a rendere la poltiglia spennellabile eccoci pronti a dipingere i tronchi ed i primi rami della sostanza bianchiccia e disinfettante. Ottimo contro i parassiti che son già pronti ad uscire dalle loro uova per i primi attacchi, salvo ritrovarsi intonacati.
    Ma basta con i lavori: oggi è domenica ed andiamo a visitare Sant’Antimo, e ad ascoltare i monaci che cantano il gregoriano. A più tardi.

venerdì 16 marzo 2012

Libri: Castaneda

C’era un libro, da ragazzini, dalla copertina dorata ed istoriata e dal titolo intrigante: I Grandi Iniziati, di Edouard Shurè. Penso che i suoi prediletti fossero il Cristo ed il Budda, ma ce n’erano certo molti altri fra cui mi par di ricordare Zoroastro.
    Tuttavia ciascuno è libero di scegliere i propri iniziati prediletti, perciò anch’io me ne scelgo uno, oltre al vecchio monaco Sakyamuni Budda che però lungi dall’essere un iniziato è invece un illuminato. Come dire, gli iniziati stanno sulla zattera e remano verso l’altra sponda sperando che essa esista e faticando per arrivarci. Gli illuminati sono giunti sull’altra sponda e della zattera fanno un bel falò per asciugarsi.
    Il mio iniziato prediletto è Carlos Castaneda, un antropologo ispano-americano la cui ventura lo portò a studiare per anni ed anni con un illuminato Messicano Yaqui, Don Juan.
La vita di Castaneda trascorse fra i deserti della Sonora (Mexico) e l’università di Los Angeles, ma per noi la parte più interessante è chiaramente la prima, quella che lo vede protagonista di un’avventura meravigliosa ed apparentemente impossibile.
    Si tratta di un’opera in sette od otto volumi, indipendenti uno dall’altro ma uniti dall’argomento –la presa di coscienza del fatto che esistono realtà parallele ed alternative a quella in cui quotidianamente viviamo, che sono raggiungibili e di cui si può fare esperienza diretta. Il come ciò avvenga è per l’appunto la complessa materia dell’opera. 
    L’apprendistato del nostro studente dura una quindicina d’anni, perché il processo necessario a destrutturare la sua (nostra) convinzione che il mondo sia proprio come lo percepiamo è lungo e difficile. Non vorrei togliervi la soddifazione di fare una vostra sintesi personale delle esperienze riferite dall’autore, perciò  mi limiterò a dire che secondo il suo insegnante noi umani (ma non solo) siamo costituiti da fasci di fibre luminose che riflettono gli immensi fasci di fibre dell’universo di cui facciamo parte. Le fibre dell’universo “esterno” che toccano il nostro involucro in un punto specifico –detto punto d’unione- si accendono, e quello è l’universo che percepiamo. La posizione del punto di unione (ovvero la specificità della nostra descrizione del mondo) è determinata da abitudini ed educazione che si formano prestissimo e che creano una specie di conchetta da cui è molto difficile farlo sloggiare. Quando il punto di unione, per cause come meditazioni, digiuni, cerimonie, malattia o intervento dell’insegnante, si sposta, tutta la nostra percezione del mondo cambia. In realtà veniamo a trovarci in un diverso universo, con nuove leggi e a volte nuovi personaggi. Inquietante, se si è privi di una guida.
    Il fascino e la liricità di certe situazioni, l’umorismo ed il magico potere che manifestano Don Juan ed i suoi colleghi stregoni, sono eccezionali. La profondità dell’insegnamento e la chiarezza di certe spiegazioni sono esemplari, e, pur essendo vero che si può facilmente dubitare della veridicità dei racconti, vien spontanea la domanda: mi arricchisce di più dubitare o cavalcare la storia con l’autore?