venerdì 22 marzo 2013

Tempo di innesti


         Tempo di innesti. Dicono che il giorno specifico in cui impegnarsi nell’arte sia il 19 Marzo, ma se si sgarra un po’ non si va all’inferno.
Essenziale è aver conservato le marze in frigorifero, perché il futuro portainnesto –ovvero il selvatico da trasformare in domestico- DEVE essere “più avanti” della marza stessa. Orbene, ecco come fare:
A gennaio-febbraio, meglio se con la luna calante, tagliate dalla varietà che volete riprodurre alcuni ramoscelli dell’ultimo anno. Meglio se sono sani ed abbastanza uniformi nel diametro. Prendetene una decina, se possibile, lunghi una trentina di cm ed avvolgeteli subito in un sacchetto di plastica ed etichettateli all’istante. Ripetere con altre varietà e riporre tutto il malloppo nel frigorifero.
         Il 19 Marzo, o poco dopo a seconda dell’avanzamento vegetativo del portainnesti (è il nome dato alla pianta da innestare), in una giornata possibilmente senza vento e senza pioggia. Prendete il secchio che avrete preparato e che è bene contenga: segaccio affilato bene, cesoia, un coltellaccio o simile, un cacciavite grosso, un mazzuolo meglio se non di ferro, mastice da innesti, 3 o 4 coltelli di plastica, nastro da carrozziere (quello biancastro su cui si può scrivere), pennarello, numerosi legacci, un paio di giornali, o riviste, sacchetti di plastica trasparente, coltellino da innestatore affilatissimo, e naturalmente le marze. Spero di non aver dimenticato nulla.
         Ecco come procedere: andate dal portainnesti e spiegategli che, se vuole, avrà una nuova vita e che non deve preoccuparsi. Scegliete i rami che volete innestare, ben direzionati e del diametro di 3-6 cm.  Se il portainnesti è giovane può valer la pena di innestarlo sul tronco stesso.
Segate il ramo con un taglio diritto e pulito (cominciare da sotto per impedire scosciamenti). Legate strettamente a 6/7 cm sotto il taglio. Mettete il coltellaccio trasversale al centro del taglio fatto e con il mazzuolo fatelo entrare di circa 3 cm, La legatura sottostante dovrebbe impedire allo spacco di proseguire più del dovuto. Togliete il coltellaccio, posizionate il cacciavite al centro e col mazzuolo allargare lo spacco di qualche millimetro. Il vento asciuga velocemente le superfici che devono invece essere irrorate ed umide, perciò occorre essere rapidi e ben organizzati, soprattutto nei prossimi passi. Togliete e scegliete il rametto da cui prelevare le marze, tagliatene via almeno la prima gemma alla base e con il coltellino da innesti praticate due tagli longitudinali ed obliqui in modo da fare una punta a scalpello, cioè larga come tutto il ramoscello. Rispettando la buccia, o corteccia, che starà all’esterno potete affinare un po’ la parte interna, che potrebbe ostacolarvi. Appena fatta la punta accorciate il rametto a due gemme e mettete la marza in bocca per tenerla umida in attesa della seconda marza, che preparerete subito.  Infilate una marza nello spacco del portainnesti in modo che le rispettive cortecce combacino il più possibile e col coltello di plastica sigillate sia il taglio triangolare che quello in cima col mastice. Ripetete l’operazione sull’altro lato del diametro. Delicatamente estraete il cacciavite e il ramo innestato si stringerà bloccando le marze al loro posto. Mastice su tutti i punti scoperti, togliere il legaccio e rilegare poco sopra per assicurare la tenuta delle marze. Adesso c’è un ramo accorciato dal cui taglio sporgono due cornetti, ciascuno con due gemme. Fare cartoccio con il giornale e legarlo bene sotto le marze in modo che non le tocchi ma le protegga. Coprite il tutto con sacchetto di plastica legato alla base. Praticate un buchetto nella parte bassa del sacchetto (aria e acqua). Segnate il nome della varietà delle marze sul nastro adesivo che applicherete al ramo.
          Non andate a rompere le scatole all’innesto troppo presto, a meno che il vento o la pioggia non abbiano semidistrutto il vostro capolavoro e le varie protezioni non si siano appoggiate sull’innesto stesso. Se il miracolo è avvenuto, dopo una quindicina di giorni dovreste vedere, spiando cautamente, un primo bagliore verdino laggiù nascosto fra giornale e mastice e legacci. E’ emozionantissimo. Aspettate tuttavia qualche giorno ancora prima di scriverlo sul blog, perché le marze possiedono una energia residua e nonostante il soggiorno in frigorifero, i tagli, le spuntature ed il bagnetto nel mastice, a volte esprimono un po’ di verde pur senza aver attecchito, ingannando il povero contadino.
         Se la stagione dovesse essere molto asciutta è opportuno spruzzare un po’ d’acqua all’interno del conocartoccio. A volte si mette un po’ d’erba, che cederà l’umidità pian piano. Dopo un mesetto o più bisogna controllare ed eventualmente togliere le cacciate che il portainnesti, risentito per le preghiere non abbastanza convinte, avrà pensato bene di produrre in competizione con le marze. Qualora la marza non avesse attecchito, lasciate pure le cacciate che continueranno a nutrire il ramo, che innesterete il prossimo anno.
         Bene, adesso che è tutto chiaro aggiungo un solo dettaglio prima di andare ad innestare i ciliegi: Si innesta mela su mela, volendo su pera, mentre pesche ed albicocche vanno su pesche ed albicocche e mandorle.

mercoledì 20 marzo 2013

Happy Brunette ed i Marmi di Paros




         Aggirandosi fra gli spazi espositivi dell Fiera del Marmo a Carrara, Happy Brunette non mancava di raccogliere miriadi di informazioni con il suo sguardo in apparenza svagato e sorridente, eppure ben sveglio ed attento come si confà ad ogni mercante in esplorazione.
         Statue, statuette, fontanelle, rosoni, piccoli telamoni, e piastrelle, mattonelle, sbalzi, cordonature, cornici… Tutto marmo lavorato, per lo più bianco ma anche di mille altre sfumature, in parte dovute alla presenza di pietre di altra natura, rosso di Verona, verde Guatemala ed in parte alle eleganti intrusioni e venature che madre terra ha artisticamente evocato intessendole nella nobile materia.
         Non ci volle molto prima che Happy Brunette notasse uno spazietto espositivo, in fondo ad una delle corsìe, da cui si alzava del fumo a sbuffi, ed ogni tanto qualche voce dallo strano accento. Il nostro, dotato di cappello afghano e barba folta e ricciolina, si affacciò curioso, e subito venne invitato ad entrare da un gruppetto di tre o quattro greci, altrettanto barbuti sia pur senza cappello, che si bevevano un tè condito di lokum ed altri pasticci. La conversazione proseguì in due o tre lingue diverse, e siccome si poteva contare sulla formidabile capacità comunicativa di Happy e sulla sua abilità ad estrarre racconti e storie dalle persone, oltre che al desiderio dei greci di interrompere la noia mortale che li affliggeva e che era dovuta alla totale assenza di clienti, fu ben presto evidente che i greci avevano perso ogni speranza di vendere il loro marmo.
         Il marmo dell’isola di Paros, donde venivano i mercanti e la loro merce, è uno dei marmi più belli del mondo. Perfettamente bianco, meravigliosamente statuario (fu probabilmente il marmo usato da Prassitele e Fidia), quando viene tagliato come in questo caso in piastrelle quadrate di trenta centimetri per lato presenta una superficie bianca abbagliante decorata da scagliette brillanti e riflettenti, forse di quarzo. Le scagliette, messe lì da madre natura, son posizionate con assoluta regolarità, ogni tre centimetri, e l’effetto è assai notevole. Non esisteva nulla del genere presso gli altri espositori, eppure i poveri greci, relegati nell’ultimo spazio, rimanevano ignorati dai flussi di visitatori e compratori.
         Allertato sulla questione, Happy Brunette decise che era ora di agire.
Individuato un potenziale compratore americano che stava contrattando lì vicino, con il suo modo di fare di onesto levantino lo indusse a fare due passi fino allo stallo dei greci, che subito accolsero il nuovo ospite con una bella tazza di tè e mezzo vassoio di dolcetti esotici. Quando l’americano vide le mattonelle di Paros se ne innamorò all’istante. Capì subito che erano proprio quello che gli ci voleva per decorare le due ville Texane del cui arredamento era incaricata la sua compagnia di architetti.
         Fu firmato un ordine di spedizione enorme, almeno dal punto di vista dei greci che erano ormai pronti a lasciare la fiera con le pive nel sacco: unica condizione posta dall’americano fu che Happy in persona curasse imballaggio e spedizione, lavoro per cui sarebbe stato ben pagato. Ci fu anche un tentativo da parte del cliente di assicurarsi i servigi di Happy anche in Texas, per sovrintendere alla messa in opera, offerta che fu graziosamente respinta; ed un altro approccio da parte dei greci che volevano che li rappresentasse sempre ed ovunque. Ma Happy Brunette aveva di sicuro altre avventure in prospettiva, e si dileguò dopo strette di mano e ringraziamenti copiosi.

venerdì 15 marzo 2013

Happy Brunette e il Mandala



         Vi voglio raccontare come conobbi Happy Brunette. Ero a Padova, dove dopo tre anni di corteggiamenti, lusinghe ed astuzie rivolte a vigili ed assessori ero riuscito a conquistarmi un posto dove piazzare il mio banchetto di incisioni ad acquaforte durante le feste di Natale. In questo mestiere l’uscita dal precariato, cioè dal più rischioso abusivismo, è vissuta come una benedizione. Diventato un ‘avente diritto’, il lento avvicinamento dei vigili non è più visto come una costante minaccia, i vicini non ti guardano più in cagnesco… Puoi addirittura rilassarti anche se mai del tutto perché ci sono svariati altri nemici in agguato. Ero dunque beato sotto il mio ombrellone, tre metri per quattro, sereno come un topo nel formaggio. Pioveva molto, non si faceva una lira e l’acqua ruscellava sotto la seggiola verso qualche lontano tombino, ma io, che sono di carattere piuttosto allegro, ero felice di starmene appollaiato a sorseggiare un cappuccino.  Si avvicinano due barbuti tutti bagnati e tristi, con dei vassoi a tracolla e sui vassoi, protetti da un foglio di plastica, degli oggettini dorati. Mi ricordo troppo bene di cosa significhi vendere per strada senza permessi e sotto la pioggia, quando non puoi aprire ombrelloni perché i vigili ti sgamano subito. Li invito sotto il mio ombrellone che è ampio abbastanza da ospitarci tutti. Posano la mercanzia e ci presentiamo: uno è Happy Brunette, l’altro è Andrea: fraternizziamo subito. Mi mostrano la loro merce: sono i Mandala, forse li conoscete: costruiti con circa venticinque o più pezzetti di filo d’ottone ricurvo, ogni pezzetto ha due asole alle estremità con cui è collegato ad altri pezzetti; le asole lavorano come giuntini cardanici e permettono una serie di movimenti abbastanza complessi che trasformano il Mandala da stella piatta a sfera perfetta passando per tutte le stazioni intermedie tipo atomo, fiore eccetera. Happy Brunette appena vedeva un possibile cliente all’orizzonte usciva da sotto l’ombrellone (ormai era diventata la loro postazione stabile) e presentava il Mandala con una simpatica descrizione metafisico-poetica delle sue prestazioni. “Ecco, questo è lo Zero, da cui nasce l’Infinito –e muoveva il Mandala che gli fioriva fra le mani- vedete come lo Yin e lo Yang si compenetrano –altra forma- e come si trasformano nel movimento dell’energia…” Era bravissimo. A parte la manualità fluida ed elegante nonostante la notevole grossezza delle dita, la sua era una rappresentazione magica. Era palesemente inoffensivo e le madri invece di trascinare via i bambini rimanevano incantate e spesso comperavano il Mandala, che fra l’altro è molto grazioso, oltre ad essere una metafora universale. Di questo Mandala lui aveva trovato un prototipo in India in qualche sperduto bazar, e ne aveva importato l’idea qui da noi. Sulle prime aveva realizzato un discreto numero di esemplari tutti fatti a mano –lavoro lungo e abbastanza difficile- e quando aveva visto che si vendevano bene, aveva attivato i contatti con un suo ex collega, meccanico all’Alfa Romeo, che sotto le sue istruzioni costruì una macchinetta (di nome Govinda) che tagliava, piegava e faceva le asole al filo d’ottone. Bastava assemblare ed infilarci qulche perlina colorata, per rallegrare l’oggetto. Si fece persino fare delle bustine trasparenti che contenevano, oltre all’oggetto stesso, pure un foglietto di istruzioni. Ne vendeva a centinaia.
         Così fummo amici, e tali rimanemmo e tali ancora siamo, favoriti da un gesto di solidarietà in un’emergenza.

martedì 12 marzo 2013

Happy Brunette e le Formelle Sumere




         Avete presente come in chimica due elementi si combinino a formarne un terzo? Nella fertile mente di Happy Brunette succedeva la stessa cosa, e di questi invisibili eventi egli era il catalizzatore, il trattino d’unione: quando poi s’accorgeva che qualcosa di interessante stava per vedere la luce, era molto veloce nell’investire in tutto ciò che sarebbe stato necessario a dar corpo all’idea. Aveva nei suoi scrigni alcune splendide pietre rotonde incise sulla corona esterna, le roulettatrici di cui dicevo qualche giorno fa, originali e rarissime. Aveva anche numerosi sacchetti di radici di pietre dure, una nutrita rappresentanza di tutti i colori possibili, o quasi. 
        Decise allora di comperare un fornetto da ceramica, uno di quelli con incorporato un piccolo computer per regolare con precisione le temperature. Pestando in un mortaio le radici di rubino, o di lapislazzulo, o di qualsiasi altra delle pietre che aveva, otteneva una polvere fine che poi mescolava con un pochino d’acqua; messa nel forno a cuocere questa poltiglia solidificava in quella che si chiama “fritta”. La fritta veniva ripestata nel mortaio fino a diventare un polvere finissima, che raccolta in vasetti rappresentava una delle cose più difficili da trovare: colori da ceramica di vero smeraldo, zaffiro, topazio, turchese. Non esiste negozio di belle arti che abbia in magazzino del colore da ceramica di radice di rubino o di qualsiasi altra pietra dura. 
         Me lo posso immaginare Happy Brunette, barba e copricapo sufi ed un 'bidi' acceso a consumarsi nella conchiglia lì accanto, seduto al suo deschetto alchemico che prepara formelle con scene dimenticate da secoli, imprimendo i bassorilievi con i rulli di giada nell’argilla proprio come facevano i nostri ignoti antenati tre o quattrocento anni b.c. Stessa barba, direi, stesso cappello, stessa sciarpa kashmir, di quelle tessute dai peli del collo dei capretti neonati: una coperta matrimoniale di quel tessuto deve poter passare attraverso un anello nuziale, ed è introvabile dalle nostre parti. Già lì costa due, tremila dollari. Happy con un paio di boccate incenerisce il bidi -che è un piccolo cono di foglie contenenti un po' di tabacco- e poi col pennellino raccoglie la mistura di polvere e acqua, decora i particolari minuti e preziosi…. Dopo la cottura nel fornetto, ecco una formella identica alle decorazioni di templi e case scomparse da duemila anni, i cieli sono blu lapislazzulo e turchese, ombre verdi di malachite, foglie di vero smeraldo, acqua di zaffiro oltremare, terreno di diaspro rosso mattone e topazio giallo, penne e piume di rubino… Se Happy Brunette non fosse quell’onest’uomo che è potrebbe spacciarle per autentiche. Ma questo non sarebbe nel suo stile, e se lo facesse certo non starei qui a scrivere le sue avventure.

giovedì 7 marzo 2013

Happy Brunette e le Pietre di Mashad




         Non ci si poteva aspettare che un tipo come Happy Brunette rimanesse insensibile al richiamo dei nomi poetici e musicali di città e villaggi che sorgono nei grandi deserti e piccole oasi che uniscono la Persia, l’Afghanistan ed il Pakistan fino all’India. Sicchè nei suoi viaggi si trovò a contatto con luoghi, situazioni, persone ed oggetti che molto di rado coloro che battono piste ben conosciute incontrano. Ad esempio, è stato uno dei pochissimi che hanno assistito alle prime “aste” che i signori della guerra afghani, veri capi clan medioevali, indicevano per scambiare i tesori secolari dissepolti dalle loro truppe con missili ed armi varie –che avrebbero loro consentito di appropriarsi di feudi e castelli così da crearsi il proprio personale staterello. Di questi tesori venuti alla luce all’improvviso facevano parte preziosi di incredibile valore, sia storico che artistico, pezzi da museo rarissimi se non unici, come l’agnellino in grandezza naturale, tutto d’oro tempestato di pietre dure –lapis, turchesi, rubini…
         Un giorno mentre conversava con un mercante nel bazaar di Mashhad nel nord della Persia, fra un chai e l’altro vennero alla luce due roulettatrici, una di lapislazzulo e l’altra di giada verde.. Sono delle rarissime pietre rotonde, come se fossero state affettate da un salame di giada o altro, dello spessore di un paio di centimetri,  con incise nella fascia esterna scene di varia natura. Solo i migliori maestri dell’arte riuscivano ad incidere quei minuziosissimi e ben dettagliati particolari dei bassorilievi che ornavano i durissimi quarzi e pietre semipreziose che venivano usati per la bisogna. Queste due erano pietre originali molto antiche, certamente più di duemila anni, e le incisioni erano ancora perfette. Una  rappresentava una scena di caccia, con cavalieri al galoppo che seguivano dei cani che inseguivano un cervo, il tutto con varie frecce in volo. Un foro al centro della pietra serviva  ad infilarvi un piccolo asse che, collegato ad un manico, rendeva possibile la rotazione continua della pietra. Un attrezzo molto simile alle roulettatrici usate secoli dopo dai doratori francesi. Facendo girare la pietra  come una ruota sopra formelle d’argilla, le scene incise rimanevano impresse e si ripetevano senza interruzioni. Happy Brunette era pieno di risorse e di idee: mise da parte fra i suoi tesori le due pietre e dopo averne cercate e trovate altre, una di quarzo rosa –durissimo da incidere- ed una di diaspro, decise di passare ad una nuova fase sperimentale, di cui vi dirò fra qualche giorno. 

mercoledì 6 marzo 2013

Happy Brunette e le Radici di Smeraldo



           Accarezzandosi la barba Happy Brunette pensava a come riempire quegli spazi vuoti che il suo occhio esperto vedeva sarebbero rimasti dopo aver riempito il container di parte della mercanzia raccolta e depositata nel pazzesco capannone del suo spedizioniere a Peshawar.  Da un paio di settimane aveva continuato a far affluire casse di piatti –quelli quasi identici ai piatti medioevali nostrali-, tappeti kilim in cui avvolgerli ed armadi massicci da usare come casse di protezione. Decise di farsi un giro nel bazaar, un posto dove non andava quasi mai perché troppo battuto dai mercanti locali e dai polverosi turisti in caccia di ricordi.  Alla fine dell’esplorazione che lo aveva portato nei vicoli retrostanti il bazaar, si ritrovò con un carretto sospinto da un ragazzetto e quattro casse pesantissime piene di sacchetti di stoffa, a loro volta pieni di una merce che nessuno trattava mai perché priva di valore: radici di pietre dure. 
          Happy Brunette era un conoscitore di pietre dure e semipreziose, e sapeva benissimo che nei retrobottega di ogni mercante di pietre ci sono quintali di rimasugli di radici, o matrici, di turchese, smeraldo, rubino, zaffiro, topazio eccetera. Sembrano sassi qualunque, non valgono praticamente niente; sono il leftovers di ogni operazione con  pietre di valore ai primi passaggi di mano, quando i cercatori le portano ai grossisti e ai distributori che dagli informi conglomerati provenienti dalle valli del Tetto del Mondo estraggono le parti preziose e gettano via le parti inutili, quelle che non luccicano 
         Nel container finirono svariati sacchi di queste radici, che ancora contenevano tutto il potenziale di colore tipico della splendida pietra che avevano generato e covato milioni di anni prima, ma in forma opaca, non cristallizzata. I sacchi viaggiarono, arrivarono e continuarono a vivere un’oscura esistenza anche dopo il loro arrivo in Italia, rimanendo nei magazzini di Happy Brunette a costituire parte di quel vasto brodo primordiale di informazioni da cui ogni tanto scaturivano le sue idee, o a cui la sua creatività attingeva. Vivere con le pietre colorate, toccarle, conoscerle, con il tempo aveva dato a Happy Brunette una sensibilità speciale. Ogni famiglia di pietre ha delle particolari caratteristiche guaritorie, ed ogni singola pietra può specializzarsi fino a diventare un bisturi energetico, come sanno coloro che si occupano di cristalli e di riallineamento dei chakras. Si tratta di una conoscenza e pratica complessa che richiede dell’allenamento prima di essere utilizzata, ed una caratteristica della quale mi ha sempre affascinato: i cristalli possono aiutare a trovare le cose perdute. A parte questa utilitaristica funzione è tuttavia vero che per la loro natura piezoelettrica le pietre cristallizzate emanano una vibrazione (con il palmo della mano potete sentire il venticello fresco che esce dalla punta di un cristallo di quarzo) che influenza ed allinea, in termini di energia, i nostri chakras. Io ho conosciuto una famiglia di dieci meravigliosi cristalli di smeraldo dell’Arkansas, ciascuno lungo come un dito della mano, che sono passati da sciamana a sciamana per decine di generazioni. Sono rarissimi e preziosissimi, e se ne avverte immediatamente il potere anche solo sentendone parlare.
         Ora, siccome questa divagazione mi ha un po’ distratto, quello che Happy Brunette fece con le sue radici ve lo racconterò fra un po’.