lunedì 29 ottobre 2012

Drosofila e Shmoo



         La Drosofila è quel moscerino tanto amato dai ricercatori biologi perché ha la capacità di riprodursi velocissimamente, e quindi se ne possono studiare le generazioni in tempi ravvicinati. Se si limitasse a farlo nei laboratori, dove codesta qualità è molto apprezzata, si renderebbe meritevole di una sia pur piccola statua o almeno di una medaglia al merito sientifico: ma l’infame sceglie i luoghi meno adatti per dar sfogo alla sua lussuria, ed il meno adatto di tutti è la mia cucina.
         Devo ammettere che in un’antica cucina settecentesca esistono migliaia di anfratti dove rifugiarsi ed amarsi, e che in questa stagione numerosi cesti e cestini contenenti frutta, noci, uva, resti di cotture varie per i polli, rappresentano tentazioni irresistibili per un’onesta drosofila. Tuttavia occorre combattere per limitarne le orde volanti, ed il sistema più efficace finora sperimentato è l’aspirapolvere. Acquisita una certa abilità –perché la drosofila non è mica stupida e s’invola al primo avvicinarsi del mostro di Dune- - si riesce ad aspirare il filotto di moscerini che alberga su ogni superficie disponibile e sui vetri delle finestre, con il side-benefit di tenere pulitissimo l’ambiente. E’ persino possibile aspirarli in volo, quando meno se l’aspettano e si sentono sicuri come aquile sulle vette alpine. Immagino che sia fastidioso sentirsi aspirare da dietro (penso che tentino di girare le terga appena avvertono il vento contrario del destino) per poi venire inghiottiti dall’immenso serpentone fino ad arrivare nel bidone, dove però ci sono già molti loro colleghi e compagni, e dove possono ricominciare a riprodursi fino alla liberazione finale.
         Le drosofile mi ricordano gli Shmoo, per coloro che hanno amato l’antico e delicato fumetto di Little Abner. L’eroe del fumetto un giorno va in una valle praticamente inaccessibile e da cui è quasi impossibile uscire, ed inavvertitamente si porta dietro una coppia di Shmoo che si sono nascosti nella balza dei pantaloni. Questo evento, ovvero l’uscita di uno Shmoo dalla valle, non era mai successo prima e determinerà il crollo dell’economia così come la conosciamo, perché: gli Shmoo sono molto carini e tutti li amano, ma loro hanno il cuore grande e generoso, e basta guardarli con un po’ di fame che immediatamente si precipitano nella padella più vicina o nel forno accanto onde renderci felici trasformandosi in ottime bistecche, o torte, o pollo arrosto, e il tutto sorridendo contenti perché la loro missione è rendere felici gli altri.. Inoltre sono in grado di metter su degli spettacolini deliziosi che in breve mettono fuori mercato la televisione ed altre forme di intrattenimento. Supervolenterosi e sempre allegri si occupano di ogni aspetto noioso e fastidioso delle nostre vite, ed hanno altre peculiarità che ora non ricordo, ma tutte tese a facilitare l’esistenza altrui.  La caratteristica che li accomuna alla drosofila però è che si riproducono alla velocità del lampo: se in una corsa di dieci metri ne partono due, all’arrivo sono parecchie centinaia. Tutte le altre belle cose il moscerino, ahimè, non le fa.

domenica 28 ottobre 2012

Blink, il falco


Avevamo sempre pensato che un uccello rapace fosse emblema di aggressiva severità, e che quello sguardo impassibile e corrusco significasse una distanza immensa, un invalicabile ostacolo alla comunicazione fra stirpi così diverse fra loro. Blink  tuttavia ci ha fatto cambiare idea.
Fu Luna a trovarla a terra, incapace di prendere il volo perché appena caduta dal nido. La raccolse e la portò a casa. Un pochino di carne tritata mescolata con dell’uovo, qualche briciolina di pane… chi sapeva qualcosa della dieta di un falchetto? Del fatto che fosse femmina non eravamo proprio sicuri, ma così fu deciso.
Piccola e quasi implume Blink trascorse un po’ di giorni nel contenitore da trasporto dei gatti, da cui allungava la testina per mangiare dalle mani di Puma: la gabbia stava nella stanza della musica, e lì rimase finchè costruimmo una voliera piuttosto grande con stanzina annessa dove la falchetta potesse sentirsi protetta e pian piano sviluppare confidenza con spazi più ampi, oltre che con noi.  Svariati pali e stecchi le permettevano di saltellare qua e là, e di fare piccoli svolazzi che noi osservavamo inteneriti ed orgogliosi.  Stava anche rivestendosi della livrea definitiva, grigia e marrone con sfumature bianche. Appena vedeva Puma avvicinarsi con la polpetta per colazione le volava sulla mano, e dopo aver mangiato avviava una conversazione a base di strizzate d’occhio (donde il nome) e giramenti di testa. Se piegavi la testa di lato, Blink subito ti rispecchiava, e viceversa. Non si potevano trattare argomenti molto approfonditi, ma era sufficiente per volersi bene.
Dopo un po’ di tempo, trepidanti, decidemmo che Blink –che nel frattempo avevamo scoperto essere una gheppia ed era diventata bella grande- era troppo strettamente confinata, e che era pronta a prendere il volo. Posata sulla mano di Puma, per la prima volta si ritrovò fuori dalla voliera, nell’universo senza confini dove da sempre avevano volato i suoi antenati. Sia Blink che noi eravamo alla prima esperienza del genere e ciascuno sembrava aspettare che l’iniziativa fosse presa da qualcun altro: poi Puma si decise e la lanciò più in alto che poteva, sopra la vigna: Volerà?  Cadrà come una pera?  La ritroveremo?  Blink partì come un razzo verso il cielo infinito.
Poi, dopo qualche trepidante minuto da noi trascorso strizzando gli occhi per riuscire a seguirla lungo le vie del cielo, la falchetta tornò verso di noi, e si mise a fare numerose evoluzioni proprio lì davanti, per rassicurarci dei nostri dubbi e farci vedere com’era brava. Complimenti entusiastici da parte nostra. Altri arabeschi nell’aria e poi la sua specialità, quella che distingue il volo del gheppio dagli altri falchi: lo spirito santo, cioè il rimanere immobile sospesa in mezzo al nulla.
Blink rimase libera intorno a casa, allargando il suo territorio di esplorazione e tenendosi quasi sempre in vista. Avevamo stabilito un appuntamento sopra una terrazza, due volte al giorno per darle da mangiare. Arrivava come una freccia dall’albero secco che aveva scelto come suo appoggio prediletto, a circa duecento metri da casa,  atterrava e saltellava fino da Puma, dalla cui mano si nutriva. Mai una beccata maliziosa, mai un graffio. Per circa un mese continuammo ad averla come compagna volante, a volte in quella impossibile posizione immobile che manteneva anche per parecchio tempo. Un giorno, alla solita ora della polpetta Blink arrivò tutta trafelata e volò vicinissima a Puma senza fermarsi a mangiare.  Girò, ritornò, fece tutti i suoi numeri sul suo palcoscenico celeste.
Poi sfrecciò in alto, lontano, sempre più lontano, e non la vedemmo più. Così salutano i falchi.

domenica 21 ottobre 2012

All'inseguimento del Sacro Venti


         E’ lavando i piatti o occupandomi di altre faccende domestiche che in me si crea uno stato di serena equanimità che a volte mi permette di pensare particolarmente bene, senza intrusioni emotive e distrazioni marginali: perciò un paio di giorni fa, mentre ero per l’appunto affaccendato nella separazione dei pistilli di zafferano, ho deciso di applicarmi ad un problema che da lungo tempo mi angustiava.
         Si tratta di rintracciare un pensiero, una piccola illuminazione che mi aveva benedetto durante una delle cerimonie native cui partecipavo nelle montagne della California, e che mi era poi sfuggita, come a volte accade quando si cambia stato mentale –o, per esser più precisi, livello di energia. L’inseguimento si è protratto per anni, soprattutto perché l’argomento aveva ed ha una natura squisitamente elusiva se non inafferrabile e, nella cultura da cui provengo, non trova segnali di interesse né memoria di elaborazioni, per quanto io ne sappia. In questi àmbiti i sentieri del mistero bisogna esplorarseli sostanzialmente da soli.
         L’interrogativo consiste nello scoprire come mai nella filosofia spirituale nativa americana il numero venti sia così importante da meritare d’essere considerato sacro in quanto simbolo del completamento. Permettetemi una piccola introduzione, altrimenti tutta la faccenda sembra campata per aria.
         Il numero venti è l’ultimo numero del Twenty Count, ovvero di quella successione di simboli e significati che, progredendo e dispiegandosi, fornisce una mappa dell’evolversi del nostro spirito. E’ uno studio piuttosto sofisticato ed il percorso è accidentato e faticoso perché coinvolge e stimola tutte le parti del nostro essere, ed entrare nei dettagli in questo momento sarebbe lungo e dispersivo: in seguito se vi interessa vi racconterò il Twenty Count, tenendo presente che, come Ruota di Medicina, esso è uno dei culmini cui è arrivata la complessa filosofia nativa americana.
         Mi rendo conto che molti di noi hanno interiorizzato fin da ragazzini un’immagine in parte eroico-mitologica, in parte filmistica ed a volte simbolica dei cosiddetti pellerossa: ma c’è dell’altro, anche se il fatto non è mai stato molto pubblicizzato, forse perché sarebbe stato imbarazzante ammettere di aver distrutto senza pietà una cultura molto avanzata. Meglio far finta d’aver annientato tribù selvagge e primitive, come se queste meritassero di morire, che riconoscere d’esser responsabili dell’obliterazione di una assai raffinata ed elegante organizzazione sociale.
         Il numero venti, dunque: perché è così importante? Ebbene…
I primi nove numeri in un certo senso si spiegano da soli, basta contare con le dita. Il dieci poi è il primo numero a due cifre, ed è il numero che oltre a stabilire il concetto di decina introduce anche lo zero, che a sua volta è simbolo di grandissima importanza, essendo fra l’altro anche la chiave che permette lo svilupparsi della matematica. L’introduzione dello zero apre la porta al concetto di infinito, e non solo da un punto di vista simbolico ma anche perché permette la ripartenza delle decine. Se però ci si fermasse qui, cioè al dieci, staremmo ancora a contare le pecore a dieci alla volta: una, due, tre ecc. alzando un dito ad ogni pecora che passa, e ci esprimeremmo più o meno così: “Ha! Possiedo ben quattro volte dieci pecore!”.
Il numero dieci lancia l’undici, ovvero l’inizio della seconda decina, undici-venti. E’ questa seconda decina che è essenziale all’evoluzione numerica, perché se le decine possono essere due, allora sono infinite. Ecco dove appare uno dei links spirito-materia: l’infinito infatti trascende la nostra comprensione (comprendere significa contenere, e non si può contenere l’infinito) e ci porta sulle soglie dell’inconoscibile, ovvero del divino.
Dunque è il numero venti che completanto la seconda decina, rappresenta il raggiungimento di ogni requisito necessario allo sviluppo della matematica, passando per lo zero e lanciando il pensiero verso l’infinito. Vi pare poco?

lunedì 15 ottobre 2012

Prode Anselmo


         Lavori mattutini: follare il vino ed aprire i polli. Stare attenti a non follare i polli ed aprire invece il vino.
         Tempo di raccolte, oltre che di preparazione dell’orto invernale. Eccomi dunque arrampicato a cogliere le pesche dall’albero, belle gialle e buonissime, e dopo averle trasportate a casa in quattro cesti pesanti e profumati, son qui a sortirle per isolare quelle toccate da uccelli, bacarozzi ed altri aggressori e dunque soggette a rapido decadimento separandole da quelle intatte e perfette. Scelgo una ventina delle migliori e provo a farle bollire per due minuti per poi raffreddarle sotto l’acqua fredda: questo trattamento dovrebbe rendere più facile la sbucciatura, ma sappiate che non è proprio vero, o almeno non funziona con le pesche di quest’albero. Perciò me le sbuccio a mano con santa pazienza, le taglio a spicchioni e le infilo in tre bei vasi versandovi sopra il giulebbe di acqua bollente e zucchero, un litro per quattrocento grammi: ecco fatto, un po’ di pesche sciroppate per rallegrare le future  serate invernali. Poi vanne sterilizzate, ovvio: mezz’ora a bollire e poi etichettare e riporre in dispensa.
         Le pesche che hanno già subìto aggressioni vanno scattivate delle parti toccate, poi sbucciate e fatte a pezzetti e fatte cuocere in un pentolone, girando spesso perché tendono ad attaccarsi al fondo senza pietà. Dopo qualche ora di cottura con lo zucchero aggiunto quando sono già a metà della preparazione posso finalmente trasferirle nei vasetti, chiudere e sterilizzare. Sono intento ad assicurarmi che bollendo i vasetti non si scontrino fra di loro correndo il rischio di rompersi (si infilano stracci vari come ammortizzatori) quando improvvisamente sento un gran fracasso in vigna: galline che starnazzano, il gallo Penna Bianca che grida stridulo… Corro fuori, mi precipito nel recinto della vigna dove i polli qualche tempo prima razzolavano felici mentre raccoglievo le pesche e vedo Penna Bianca, che è bello grosso, all’inseguimento forsennato di una volpe rossa che in bocca ha uno dei polletti giovani: l’ha inseguita per una ventina di metri gridando e beccandola e costringendola ad una vergognosa ritirata. Anch’io caccio un urlo, ma la volpe continua ad allontanarsi senza mollare la preda, pur ostacolata dal niveo gallo. Tiro un sasso che cade vicinissimo al tafferuglio, e la volpe molla il pollo e fugge scavalcando la rete. Sulla destra vedo un secondo polletto che si trascina, palesemente ferito. Sulla sinistra vedo una seconda volpe, un po’più piccola della prima, che prende anche lei la via della fuga. Due volpi in pieno giorno, mai successo prima.
         Un paio di mattine fa stavo guidando tranquillo quando una volpe è uscita dai cespugli e si è fermata in mezzo alla strada, senza alcuna paura e senza dar segno di volersi spostare. E’ una cosa che non succede mai: tutti gli animali, a meno d’essere abbagliati di notte, schizzano come fulmini via dalla strada appena arriva una macchina. Ho rallentato, l’ho guardata ben bene e pian piano se ne è andata, ma con grande flemma. Mi stava allertando, ma io ero troppo scemo per capire e far tesoro del segnale.
         Be’, ho fatto rientrare i polli e li ho contati: quattro giovani vittime. Due se li erano già portati via, e due li han dovuti lasciare sul terreno grazie a Penna Bianca ed al mio intervento. Questi ultimi due verranno infornati questa sera, alla faccia della volpe, con contorno di patatine novelle.
         Gallo Penna Bianca si è conquistato una medaglia ed un nuovo nome: Prode Anselmo.