giovedì 29 agosto 2013

Giorgetto il cinghialetto


          Giorgetto è un cinghialetto piccolissimo, ha ancora le strisce tipiche dell’età preadolescenziale sulla groppetta. Nonostante i miei lunghi ed elaborati sistemi di protezione della vigna, che è un ristorante molto ambito da tutte le creature dei dintorni, riesce a passare dovunque superando ostacoli e reti per penetrare nella zona proibitissima e scorrazzare felice qua e là, ignorando però i grappoli d’uva, anche quelli bassi bassi che potrebbe raggiungere se solo alzasse un po’ la testa. Ma il suo interesse è tutto rivolto alle erbette, radici e larve che sgrufolando indaffarato scopre ed ingolla.  L’altro giorno c’ero anch’io nella vigna, stavo sollevando qualche tralcio e spostando gli spaventapasseri (che se rimangon sempre fermi dopo un po’ vengono ignorati da ghiandaie e merli): ecco Giorgetto a dieci metri, al lavoro come sempre. Mi immobilizzo, perché è il movimento che tradisce
la nostra presenza. Comincio a cantare a bassa voce, du du du, la la la, penso che a Giorgetto non interessino tanto le liriche.e che apprezzi invece il tono carezzevole della voce. Mi guarda di tralice, occhietto vispo e grugnetto lungo lungo. E’ chiaro che sono uno spaventapasseri, basta vedere come sono vestito e sentire come canto. Si avvicina, mi arriva a due o tre metri. Io sto fermo come un baccalà, giro appena il calcagno per seguire i movimenti di Giorgetto. Pian piano se ne va, lo vedo passare disinvolto da una fessura nel cancello da cui non passerebbe una mano. Mi sto affezionando a Giorgetto, forse finirò per adottarlo. Ma…ce la farà Giorgetto a superare la stagione di caccia che sta per aprirsi?

mercoledì 21 agosto 2013

Little Grillo 4


        Ombre danzanti accarezzavano le pieghe segrete e gli invisibili angoli delle dimore sull’albero, e la Luna splendeva fra le foglie che imbrunivano, ricamando la magica coltre della Piccola Grande Quercia. Il soffice movimento ondeggiante del rametto più sottile del Ramo Lungo era gentilmente incoraggiato dalla brezza lunare, e le ultimissime foglie danzanti riuscivano quasi a toccare quelle di un ramo della Quercia Sorella che abitava lì accanto.
Little Grillo e la sua nuova amica Grillina stavano suonando all’unisono, seguendo il ritmo del ramo ondeggiante, ed erano così felici di stare insieme che nemmeno il buio vuoto che si apriva proprio sotto di loro riusciva a spaventarli –come ci si sarebbe potuto aspettare. La loro musica benefica e guaritoria riempiva lo spazio intorno, e loro suonavano e suonavano mentre aspettavano che la brezza cessasse un momento per fare il grande salto verso l’altra Quercia.
       Il ramo all’improvviso affondò, e la Grande Civetta che era appena atterrata si avvolse nelle ali vellutate e salutò i due violinisti col suo “Hoot!” amichevole:
-“Sono contenta di vederti, Due Occhi di Civetta,. Sono felice di vedere che hai una bellissima amica con te…Hmmm…potrei sapere come si chiama?”-
-“Oh, Grande Civetta, meno male che sei venuta!… Lei è Grillina, la mia compagna… Stiamo cercando di saltare dall’altra parte per raggiungere quel ramo laggiù…”-
-“Ho hoo – disse Civetta - vedo, vedo…Be’, certo sembra un salto pericoloso! Hmm.. – si accigliò – ma…Perché volete abbandonare questo ramo? Non siete felici qui?”-
-“Sì, sì, siamo felici. Ma si tratta di Grillone, il mio fratello maggiore: vuole che gli paghi l’affitto per poter stare sul ramo, ad io non possiedo nulla…Che cosa posso dargli?… Devo andarmene per forza.”-
-“Oh, ho, capisco –disse Civetta- Sì, è difficile per la Gente della Foresta, quando qualcuno di noi si dimentica la Promessa dell’Armonia e diventa tirannico e prepotente…Be’, miei piccoli amici, di sicuro mi mancherete, voi e la vostra canzone. E, per piacere, permettetemi di aiutarvi ad attraversare. Potete arrampicarvi sulla mia schiena ed io vi porterò dall’altra parte, o anche più lontano se volete.”-
        La cortese Civetta era  veramente molto gentile: occorre considerare che le Civette odiano la sensazione di avere qualcosa di estraneo in mezzo alle piume e penne; ma un amico è un amico, e fra la gente della foresta è costume accettare un po’ di fastidio personale per aiutare un amico, e persino una semplice conoscenza che sia nei guai.
Così i due grilli vennero trasportati sul ramo della Quercia lì accanto –non volevano andare più lontano di così- ed appena si sentirono al sicuro cominciarono a suonare la loro melodia, per pura gioia e gratitudine. La Grande Civetta sorrise apprezzando la allegra canzone, a poi silenziosamente volò via nella notte.
       Il Sole percorreva il cielo in pieno splendore, e la Piccola Grande Quercia era viva e vibrante delle voci e dei suoni della sua multiforme famiglia: Api, Uccelli, Calabroni, Grilli e Cicale cantavano e cinguettavano e ronzavano come una vivace e complicata orchestra. Solo le urla rabbiose di Grillone all’opera nel suo giorno di riscossione turbavano la serenità del giorno.  Tenendo le Coccinelle a briglia corta in modo che non potessero arrivare a leccare con le linguette la rugiada dalle foglioline, Grillone stava tormentando un Bombo rotondetto e impolverato di polline che si era fermato un momento sul Ramo Lungo, nel corso di un volo di ricognizione. Il Bombo sembrava a suo agio e per nulla scosso dalla sfuriata, e questo faceva diventare Grillone –che non poteva sopportare di non esser preso sul serio- sempre più rabbioso e sguaiato. In effetti, era talmente preso che quasi non si accorse che la Grande Civetta, perfettamente puntuale all’appuntamento, era apparsa fra le lucide foglie verdeggianti.
-“Ah, ha! Sei arrivata finalmente! Mai puntuale, eh?- urlò Grillone alla Civetta, scordandosi del Bombo. –Tu, pigra d’una Civetta, speravi che me ne dimenticassi, eh? Ma io non dimentico, e non perdono! E’ ora di pranzo: cosa intendi fare per me?”-
       I grandi occhi della Civetta erano come lune gemelle. immense e dorate e Grillone le vedeva avvicinarsi sempre di più, venire sempre più vicino…Così vicino che a malapena sentì la voce vicinissima della Civetta che diceva:
-“Sì, è proprio ora di pranzo.”-

sabato 17 agosto 2013

Little Grillo 3


La Grande Civetta, di ritorno dalla sua spedizione esplorativa pomeridiana, volò attraverso le foglie danzanti del Ramo Lungo e si fermò proprio nel punto dove aveva incontrato Little Grillo. Vide Grillone che frustava e scalciava le due Coccinelle che avevano riprovato a raggiungere le dolci gocce di rugiada con le linguette.
      “Saluti, signore…”
Sorpreso, Grillone guardò in alto con una certa paura, perché aveva riconosciuto la voce e perché le Civette erano esseri piuttosto pericolosi nel mondo della Foresta Vivente. Strinse la presa sul manico della frusta e con aria di sfida, quasi a nascondere il suo timore, squittì: (frinì)
      “Salve a te. Io sono Grillone, il Signore di Ramo Lungo, dove ti sei posata in questo momento. Cosa vuoi?”
      “ Vi dispiace, caro signore" -disse la Civetta cortese- "se trascorro il resto della giornata sul vostro Ramo? Potrei starmene seduta qui ad aspettare la notte?”-
      “ Chiunque sieda o passi sul mio Ramo deve pagarmi” rispose Grillone con un sogghigno: aveva deciso che la gentilezza della Civetta era un segno di debolezza, e che gli era capitata una buona occasione per ottenere qualcosa facilmente.
      “ Ho, ho,”- disse pensosamente Civetta -“ E, che tipo di pagamento dovrebbe essere?”
      “ Mi porterai del cibo, domani a quest’ora. Farai in modo che il mio pranzo sia pronto qui ad aspettarmi, esattamente a quest’ora, un giorno da oggi.” La sua aria arrogante nascondeva a malapena una sensazione di paura che ancora avvertiva, ma ormai Grillone era convinto di aver manovrato l’incontro a proprio vantaggio.
     “ Ho, vedo. Hmm… Molto bene allora, domani a quest’ora, in questo posto, ci sarà un pranzo.” 
            Grillone spronò e scalciò le Coccinelle finchè le obbligò a mettersi in movimento: non poteva sopportare che quelle gentili, innocue creature riuscissero a succhiare un po’ della linfa che amavano tanto. Avevano avuto qualche tempo per provarci, durante la conversazione del padrone, ma adesso Grillone era ancora più arrabbiato del solito e sentiva con urgenza il bisogno di punirle: frustava e berciava e scalciava dirigendosi verso un vecchio e largo pezzo di corteccia che veniva usato come riparo e come stalla. E’ triste da dirsi, ma la verità è che l’indulgenza con cui Grillone si era permesso di manifestare la propria rabbiosa brutalità si era protratta per talmente tanto tempo da fargli dimenticare del tutto la sua originale essenza grillesca: essere un Portatore di Fortuna. Così, per quanto si possano trovare delle giustificazioni andando a cercare fra le difficoltà adolescenziali della sua gioventù, egli aveva deciso di essere un Portatore di Dolore ed un tiranno.

giovedì 15 agosto 2013

Little Grillo 2



Little Grillo si stava pian piano riprendendo dalla grande sorpresa e guardava lo stretto passaggio fra il fogliame dove la Civetta era appena scomparsa, quando sentì il rumore di foglie scostate bruscamente ed una voce dura e rabbiosa che intimava:          -“Basta! Smettetela subito! Credete di star facendo una passeggiata? Avanti, avanti!!”-  Era il suo fratello maggiore, Grillone, che cavalcava un paio di Coccinelle strettamente impastoiate: le Coccinelle tentavano di allungare le linguette per per leccare un po’ della dolce rugiada dalle foglie della Quercia, ma Grillone non glielo permetteva. Teneva stretta una frusta che faceva ondeggiare con rabbia. Quando vide Little Grillo che se ne stava fermo lì, la sua ira sembrò crescere, e si mise a urlare:
-“Ancora qui! Quante volte te lo devo dire? Va via! Non puoi stare sul mio Ramo, se non paghi l’affitto. Vattene subito!”-
-“Me ne vado, fratellone, me ne sto andando…”-
-“Sì, e vattene in fretta. Se ti prendo un’altra volta a bighellonare per la mia proprietà..!”-  La minaccia era abbastanza chiara: Grillone era grasso e forte, molto più grosso del suo fratello minore, e come tutti sapevano, era spietato. Sarebbe stato capacissimo di scaraventare Little Grillo giù dal Ramo senza pensarci due volte, condannandolo ad una fine sicura. Con un ultimo sguardo corrusco Grillone tirò brutalmente le redini allontanando le Coccinelle che erano quasi riuscite a leccare una fogliolina.
Little Grillo se ne andò tristemente verso un ramo laterale più piccolo, un’apertura che gentilmente gli permise di scomparire in mezzo alla lussureggiante fantasmagoria di foglie luminose e ombre profonde. Grillo amava il Ramo Lungo che gli aveva dato nutrimento e da sempre gli aveva fornito un bellissimo luogo dove abitare… Ed ora solo a causa di quell’arrogante, tirannico Grillone se ne doveva andare. Ma, dove?
Molto preoccupato all’inizio, ma recuperando velocemente il suo equilibrio grazie all’aiuto delle benevolente e guaritoria atmosfera della Piccola Grande Quercia, Little Grillo si fermò un momento alla giunzione dove il magro ramo su cui camminava incontrava un ramo più grosso: si accomodò su uno sterpettino e, ispirato dalle dolci sfumature verdi ed azzurre che lo circondavano si mise a suonare la sua allegra canzone, echeggiando sotto le volta verdeggiante. Non aveva suonato a lungo quando le sue antenne avvertirono, e contemporaneamente i suoi occhi videro, una foglia sollevarsi con grazia: una grilla femmina molto elegante entrò nella radura. Si fermò e gli fece un gran sorriso.

martedì 13 agosto 2013

Little Grillo 1


Little Grillo viveva sul Ramo Lungo, uno dei rami più vecchi e possenti della Piccola Grande Quercia, vicino al limitare meridionale  della Foresta Vivente. Era un giovane grillo curioso per natura e desideroso di esplorare il Ramo Lungo per quanto  possibile, spesso fermandosi solo per intonare la sua allegra canzone che rifletteva la luce delle stelle fra le foglie e solleticava con gentilezza il tenero muschio che copriva l’antica corteccia.
       La Piccola Grande Quercia era molto contenta di ospitare il gran numero di creature che abitavano il meraviglioso labirinto del suo immenso fogliame: lei era l’albero più anziano dei dintorni –in effetti era uno degli esseri più antichi di tutta la Foresta- e la sua esperienza era profonda e secolare. Sapeva, naturalmente, che alcuni degli animalini che avevano trovato rifugio fra le sue foglie non apprezzavano la loro fortuna e che non si sarebbero mai sentiti grati per la protezione, il cibo, la compagnia che procurava loro. Tuttavia era una saggia nonna, e dunque sapeva anche che tutto passa e si trasforma, e che tutte e tutti noi dobbiamo cantare la nostra canzone in questo Mondo stupendo.
       Un giorno Little Grillo avvertì una presenza sopra di sé e mentre un brivido percorreva le sue delicate elitre si girò e vide un Grande Essere posato su un ramo appena più in alto, e l’Essere aveva due enormi occhi che lo fissavano. Grillo era paralizzato dalla paura, ma la Grande Civetta, perché era proprio lei, con gentilezza fece :”Hu, hu!”, e soggiunse: ”Non aver paura, piccolo amico. Ho sentito la tua melodia e volevo vedere chi era quel Portatore di Fortuna che suonava quell’allegra e vivace canzone. Adesso ti ho visto, e vedo che hai una Civetta nell’occhio.”
       “Mmm… piacere mio, Grande Civetta, signora, io, io… Io sono Little Grillo, signora…”  Mai prima d’allora in vita sua Grillo aveva visto un essere alato così possente, e nella sua meraviglia era anche terrorizzato all’idea d’essere mangiato lì per lì.  “Sono contenta di averti conosciuto, Un Occhio di Civetta, -disse la Civetta- e grazie per la tua canzone. Ho già mangiato, non devi preoccuparti… Ed adesso vedo che in realtà hai due civette negli occhi, così tu sei Due Occhi di Civetta, piccolo amico.”  E con queste parole la Grande Civetta volò via.

lunedì 5 agosto 2013

La notte dell'orso 2


Mattina presto, il cielo turchese ed arancione: siamo in quattro o cinque ad aspettare il nostro turno alla macchinetta del caffè, o a coccolare il cappuccino appena conquistato. Dal balcone vediamo arrivare Eagle, che di solito si presenta all’appuntamento mattutino molto elegante e curata, tutta scarmigliata e con la gonna lunga spiegazzata e lo scialle di traverso– indossa sempre gonne lunghe e scialli, non si capisce come faccia visto che siamo in mezzo ad un bosco - . Racconta la storia, tutti l’ascoltiamo a bocca aperta, aggrappati ai nostri cappuccini come ancore di salvezza. Mentre procede, ognuno si aggrappa al proprio cappuccino come fosse un’ancora di salvezza. Son brutte notizie, queste. Sappiamo che un orso una volta trovata la strada non smette di gironzolare intorno alle case, come se avesse perso quella onesta, istintiva repulsione verso gli umani che contraddistingue tutti gli animali selvatici, e sappiamo pure che non c’è praticamente modo di indurlo ad andarsene definitivamente. Tutti ricordiamo che l’anno scorso un orso bruno, forse lo stesso, ha fatto irruzione nel recinto del pollaio ed è stato sorpreso da uno dei ragazzini, Sage: l’orso se ne stava ritto in piedi in mezzo ai polli terrorizzati, con un pollo per mano ed altri due schiacciati contro il petto enorme.
Il consiglio della piccola tribù si è riunito ed ha deliberato: un orso che si comporta così, dispiace dirlo, va abbattuto.  Non c’è altro modo per liberarsene: continuerà a ritornare e ritornare, e prima o dopo provocherà una tragedia, perché è imprevedibile, pesa oltre duecentocinquanta chili, corre due volte più veloce del pièveloce Achille e se per caso riesce a metterti le zampe addosso, non c’è speranza: le sue braccia sono grosse come le nostre gambe e le gambe come il nostro petto. e con una sberla ti stacca la testa.  Perciò bisognerà attirarlo in una trappola ben congegnata, qualcosa che non possa subodorare, e piazzargli un paio di colpi di carabina sotto l’ascella. La testa sarebbe un buon bersaglio, me l’osso della fronte è sfuggente, oltre ad essere massiccio, e può deviare un proiettile: perciò non si spara alla testa, ma al cuore e di fianco. Se aspetti di vedertelo in piedi e di fronte, per mirare meglio,  in genere è troppo tardi, e se spari ad un animale devi esser sicuro di ucciderlo. Non vuoi che, ferito, se ne vada a morire di infezione nei boschi, o, peggio ancora, che ti si rivolti contro.
Non ho assistito all’agguato, ormai ero partito per ritornare in Europa, e dunque non conosco i particolari dell’evento. Sicuramente però fu spiegato al bosco ed ai suoi abitanti che il sacrificio del grosso animale era dovuto a necessità e non a divertimento. Nella nostra scuola l’uccisione era considerata un atto sacro: inevitabile ma da non prendersi mai alla leggera.
Rocky, Eagle e Moose organizzarono la trappola lasciando un po’ di cibo sullo spiazzo dove a volte si mettevano gli avanzi per i corvi, e quando l’orso si avvicinò due carabine spararono contemporaneamente, fulminandolo.
 La sua pelle adesso giace immensa sul pavimento della libreria della casa madre, ed Eagle quando transita per il mattutino rituale del cappuccino ne accarezza la testona ormai inoffensiva con le frange della lunga e ben stirata gonna.

sabato 3 agosto 2013

La notte dell'orso 1


 La Notte dell'Orso 1

California del Nord,  Bell Spring Road, un ranch sperduto fra le alte colline a quattro ore da San Francisco, sulla destra della 101.
Nella notte profonda uno sparo improvviso ammutolisce civette e gatti selvatici, echeggia nella valle per disperdersi fra la lieve nebbia sospesa fra querce ed abeti.
Da parecchi anni Eagle si era trasferita nella sua capanna di legno sotto l’immenso abete Douglas alla curva della pista verso la Delicate Lodge. Per arrivarci si passava davanti al recinto dei lama, dove due femmine pascolavano insieme ad un piccolo di un paio di mesi ed un grande maschio. Varie altre baite erano dislocate in giro per il bosco, tutte a ragionevole distanza dalla casa madre che ospitava gli spazi comuni come la libreria, lo studio di Capo Wolf, varie postazioni individuali dove alcuni di noi tenevano computers ed altri aggeggi, il grande schermo televisivo e, presenza più importante di tutte, la macchinetta Faema, originale italiana, per il cappuccino mattutino. Chissà come era arrivata, la Faema, fra gli abeti colossali della coastal range –la catena di monti e colline che prepara al grande balzo delle montagne rocciose.
Nella casa madre abitava solamente Rocky, che ne era il guardiano: tutti gli altri membri della piccola tribù si ritiravano per la notte nelle rispettive minuscole casette di fogge varie, qualcuna costruita con presse di paglia, sparse nelle vicinanze. Lo stesso Capo Wolf possedeva una grossa ed anziana roulotte argentata, che con grandi fatiche era stata portata in una valletta intima e nascosta e dove si ritirava a fine giornata insieme a Fawn, sua consorte e controparte femminile negli insegnamenti e cerimonie. Eagle era però la sola ad aver costruito la sua casa sul versante sud della collina, dopo il recinto dei lama e dei tacchini, ed era dunque particolarmente isolata.
I fruscìi notturni, il canto della brezza fra le foglie delle querce secolari, le ombre degli alberi altissimi accarezzavano la capannina dove Eagle riposava nel suo nido. Dietro la sua testa una finestra alta e stretta andava dal pavimento al tetto ed incorniciava il sentiero illuminato dalle stelle e da uno spicchio di luna, e se lei non fosse stata immersa nel sonno che precede l’alba avrebbe potuto notare che il lama maschio, quello che sputava in faccia a Forest ogni volta che lo vedeva, pattugliava nervosamente il recinto percorrendolo su e giù e soffermandosi ogni tanto con  orecchie tese e froge aperte e frementi ad annusare l’aria.
         Uno schianto improvviso irrompe nel vellutato quasi silenzio, Eagle si sveglia di colpo, alza la testa e vede che la maniglia della porta della capanna si muove violentemente in su e in giù, scossa e manovrata dall’esterno da qualcuno che cerca di entrare. Si rizza a sedere sul letto, allunga la mano e afferra la pistola che sta in una scatola accanto al letto. Non si sta da soli e senza armi a dormire sulle montagne della California.

         Per quanto sia addestrata all’uso delle armi, soprattutto carabina e pistola, ed nonostante da anni tutta la piccola tribù si alleni al guerresco gioco del paintball nei boschi sparandosi l’un l’altro proiettili di gomma piena di liquido colorato, Eagle avverte il panico salire e farsi strada fra le molte e confuse emozioni. Lo scuotimento della capanna continua insistente e l’idea che là fuori ci sia un orso che tenta di entrare richiede una reazione decisa ed adeguata. Essere addestrati serve proprio a questo: a mantenere freddezza e funzionalità nei momenti di grave crisi.
          Seduta sul letto Eagle prende un cuscino e se lo piazza fra spalla ed orecchio e si tappa l’altro orecchio con la mano. Poi spara un colpo in aria mirando al trave di colmo onde non bucare il tetto. Il rumore è fortissimo e lo scuotimento cessa di colpo, la maniglia smette di agitarsi ed il silenzio avvolge capanna e dintorni. All’orso non dev’esser piaciuto quello scoppio improvviso, non è un animale stupido, conosce benissimo il rumore delle armi da fuoco, il loro odore, la loro pericolosità, e potrebbe essersene lestamente andato.a cercare prede meno reattive. E’ possibile, forse probabile che si sia allontanato davvero, e che nonostante il tremore Eagle possa riprendere il sonno interrotto. Ma in realtà non si può star tranquilli quando c’è un orso nei dintorni: è un animale imprevedibile, determinato, fortissimo, e se ha sentito odore di cibo o se ha trovato i resti della cucina stoltamente abbandonati da qualche parte è quasi impossibile levarselo di torno:  se poi grazie ad esperienze precedenti ha imparato il significato di una maniglia ed ha preso un po’ di confidenza con gli umani, sa benissimo che intorno ai loro insediamenti c’è quasi sempre qualcosa di appetibile, e spesso si tratta di bocconcini che non si trovano in natura: una vera festa per un onnivoro. Impossibile tenerlo lontano.
         Il lettino di Eagle sta sul pavimento di legno e la finestra dal vetro fisso va da terra al tetto, proprio dietro il cuscino: è sufficiente, da distesi, alzare un po’ il mento per vedere l’esterno capovolto. Un rumore, un ansito: Eagle gira la testa e fuori dalla finestra, vicinissimo, ecco l’immenso muso dell’orso che col naso tocca il vetro mentre con un occhio e poi con l’altro scruta l’interno della capanna. Lo sguardo giallo sembra fissarsi sul movimento,  l’espressione è un po’ perplessa, come se l’assenza di odore di cibo contraddicesse nozioni precedenti, forse risultato di qualche visita a tende di campeggiatori… Non è il caso di indugiare: una testa di orso larga mezzo metro, ispida e rustica, con quel ghigno che si ritrae per annusare meglio scoprendo zanne lunghe come un piccolo dito, induce a rapide decisioni. Altri due colpi di pistola, speriamo che il trave di abete non crolli, e l’orso galoppa via, questa volta con una lunga sgroppata verso valle, dove il sentiero scompare fra alberi e forre.