venerdì 15 marzo 2013

Happy Brunette e il Mandala



         Vi voglio raccontare come conobbi Happy Brunette. Ero a Padova, dove dopo tre anni di corteggiamenti, lusinghe ed astuzie rivolte a vigili ed assessori ero riuscito a conquistarmi un posto dove piazzare il mio banchetto di incisioni ad acquaforte durante le feste di Natale. In questo mestiere l’uscita dal precariato, cioè dal più rischioso abusivismo, è vissuta come una benedizione. Diventato un ‘avente diritto’, il lento avvicinamento dei vigili non è più visto come una costante minaccia, i vicini non ti guardano più in cagnesco… Puoi addirittura rilassarti anche se mai del tutto perché ci sono svariati altri nemici in agguato. Ero dunque beato sotto il mio ombrellone, tre metri per quattro, sereno come un topo nel formaggio. Pioveva molto, non si faceva una lira e l’acqua ruscellava sotto la seggiola verso qualche lontano tombino, ma io, che sono di carattere piuttosto allegro, ero felice di starmene appollaiato a sorseggiare un cappuccino.  Si avvicinano due barbuti tutti bagnati e tristi, con dei vassoi a tracolla e sui vassoi, protetti da un foglio di plastica, degli oggettini dorati. Mi ricordo troppo bene di cosa significhi vendere per strada senza permessi e sotto la pioggia, quando non puoi aprire ombrelloni perché i vigili ti sgamano subito. Li invito sotto il mio ombrellone che è ampio abbastanza da ospitarci tutti. Posano la mercanzia e ci presentiamo: uno è Happy Brunette, l’altro è Andrea: fraternizziamo subito. Mi mostrano la loro merce: sono i Mandala, forse li conoscete: costruiti con circa venticinque o più pezzetti di filo d’ottone ricurvo, ogni pezzetto ha due asole alle estremità con cui è collegato ad altri pezzetti; le asole lavorano come giuntini cardanici e permettono una serie di movimenti abbastanza complessi che trasformano il Mandala da stella piatta a sfera perfetta passando per tutte le stazioni intermedie tipo atomo, fiore eccetera. Happy Brunette appena vedeva un possibile cliente all’orizzonte usciva da sotto l’ombrellone (ormai era diventata la loro postazione stabile) e presentava il Mandala con una simpatica descrizione metafisico-poetica delle sue prestazioni. “Ecco, questo è lo Zero, da cui nasce l’Infinito –e muoveva il Mandala che gli fioriva fra le mani- vedete come lo Yin e lo Yang si compenetrano –altra forma- e come si trasformano nel movimento dell’energia…” Era bravissimo. A parte la manualità fluida ed elegante nonostante la notevole grossezza delle dita, la sua era una rappresentazione magica. Era palesemente inoffensivo e le madri invece di trascinare via i bambini rimanevano incantate e spesso comperavano il Mandala, che fra l’altro è molto grazioso, oltre ad essere una metafora universale. Di questo Mandala lui aveva trovato un prototipo in India in qualche sperduto bazar, e ne aveva importato l’idea qui da noi. Sulle prime aveva realizzato un discreto numero di esemplari tutti fatti a mano –lavoro lungo e abbastanza difficile- e quando aveva visto che si vendevano bene, aveva attivato i contatti con un suo ex collega, meccanico all’Alfa Romeo, che sotto le sue istruzioni costruì una macchinetta (di nome Govinda) che tagliava, piegava e faceva le asole al filo d’ottone. Bastava assemblare ed infilarci qulche perlina colorata, per rallegrare l’oggetto. Si fece persino fare delle bustine trasparenti che contenevano, oltre all’oggetto stesso, pure un foglietto di istruzioni. Ne vendeva a centinaia.
         Così fummo amici, e tali rimanemmo e tali ancora siamo, favoriti da un gesto di solidarietà in un’emergenza.

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