Vi voglio raccontare come conobbi Happy Brunette. Ero a
Padova, dove dopo tre anni di corteggiamenti, lusinghe ed astuzie rivolte a
vigili ed assessori ero riuscito a conquistarmi un posto dove piazzare il mio
banchetto di incisioni ad acquaforte durante le feste di Natale. In questo
mestiere l’uscita dal precariato, cioè dal più rischioso abusivismo, è vissuta
come una benedizione. Diventato un ‘avente diritto’, il lento avvicinamento dei
vigili non è più visto come una costante minaccia, i vicini non ti guardano più
in cagnesco… Puoi addirittura rilassarti anche se mai del tutto perché ci sono
svariati altri nemici in agguato. Ero dunque beato sotto il mio ombrellone, tre
metri per quattro, sereno come un topo nel formaggio. Pioveva molto, non si
faceva una lira e l’acqua ruscellava sotto la seggiola verso qualche lontano
tombino, ma io, che sono di carattere piuttosto allegro, ero felice di starmene
appollaiato a sorseggiare un cappuccino.
Si avvicinano due barbuti tutti bagnati e tristi, con dei vassoi a
tracolla e sui vassoi, protetti da un foglio di plastica, degli oggettini
dorati. Mi ricordo troppo bene di cosa significhi vendere per strada senza
permessi e sotto la pioggia, quando non puoi aprire ombrelloni perché i vigili ti
sgamano subito. Li invito sotto il mio ombrellone che è ampio abbastanza da
ospitarci tutti. Posano la mercanzia e ci presentiamo: uno è Happy Brunette,
l’altro è Andrea: fraternizziamo subito. Mi mostrano la loro merce: sono i
Mandala, forse li conoscete: costruiti con circa venticinque o più pezzetti
di filo d’ottone ricurvo, ogni pezzetto ha due asole alle estremità con cui è
collegato ad altri pezzetti; le asole lavorano come giuntini cardanici e
permettono una serie di movimenti abbastanza complessi che trasformano il
Mandala da stella piatta a sfera perfetta passando per tutte le stazioni
intermedie tipo atomo, fiore eccetera. Happy Brunette appena vedeva un
possibile cliente all’orizzonte usciva da sotto l’ombrellone (ormai era
diventata la loro postazione stabile) e presentava il Mandala con una simpatica
descrizione metafisico-poetica delle sue prestazioni. “Ecco, questo è lo Zero,
da cui nasce l’Infinito –e muoveva il Mandala che gli fioriva fra le mani-
vedete come lo Yin e lo Yang si compenetrano –altra forma- e come si trasformano
nel movimento dell’energia…” Era bravissimo. A parte la manualità fluida ed
elegante nonostante la notevole grossezza delle dita, la sua era una
rappresentazione magica. Era palesemente inoffensivo e le madri invece di
trascinare via i bambini rimanevano incantate e spesso comperavano il Mandala,
che fra l’altro è molto grazioso, oltre ad essere una metafora universale. Di
questo Mandala lui aveva trovato un prototipo in India in qualche sperduto
bazar, e ne aveva importato l’idea qui da noi. Sulle prime aveva realizzato un
discreto numero di esemplari tutti fatti a mano –lavoro lungo e abbastanza
difficile- e quando aveva visto che si vendevano bene, aveva attivato i
contatti con un suo ex collega, meccanico all’Alfa Romeo, che sotto le sue
istruzioni costruì una macchinetta (di nome Govinda) che tagliava, piegava e
faceva le asole al filo d’ottone. Bastava assemblare ed infilarci qulche
perlina colorata, per rallegrare l’oggetto. Si fece persino fare delle bustine
trasparenti che contenevano, oltre all’oggetto stesso, pure un foglietto di
istruzioni. Ne vendeva a centinaia.
Così fummo amici, e tali rimanemmo e tali ancora siamo, favoriti
da un gesto di solidarietà in un’emergenza.
il resto...me lo dirai a voce!
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