Ero convinto che la mia esperienza di pastore si sarebbe
tradotta in una serie di idilliache passeggiate con le amate pecorelle e
poetiche escursioni collinari i cui protagonisti avrebbero svolto i rispettivi
ruoli con amore e senso artistico innati: loro belle e bianche, soffici
batuffoli che si stagliano sul verde dei prati, iconografici simboli di
pacifica convivenza, ed io novello pastorello dotato di flauto,
bucolicamente titireggiante sotto una frondosa
quercia (faggi qui non ce ne sono). Non fu così.
Quei
diffidenti animali non erano affatto bianchi –tranne che per brevissimi periodi
dell’anno e solo se osservati da lontano- anzi, erano parecchio sporchi.
Inoltre, l’estinzione del lupo, invece di generare uno stato di sana e grata fiducia
nel destino e nel pastorello loro custode sembrava aver trasferito nei miei
confronti una sfiducia umiliante che si manifestava in grandi fughe a
dispersione ad ogni mio avvicinamento: forse perchè ero un pessimo flautista.
Ma io non ero
in caccia di applausi: volevo ordine e disciplina nella stalla e fuori.
Camminavo per un’oretta su per la collina arrancando dietro il gregge che
faceva di tutto per sfuggirmi, con brevissime soste a singhiozzo, e appena si
svalicava eccole precipitarsi al galoppo verso un campo di lupinella (del
vicino) sul quale finalmente si sparpagliavano ed assumevano una parvenza di
quei poetici esseri che avevo immaginato.
Ma la dolce leguminosa dal bel fiore violetto, oltre ad
avere la sfortuna di appartenere al vicino, non deve esser brucata in grandi
quantità, soprattutto quand’è bagnata di rugiada, o può fare molto male
all’ingordo ovino. Non vi dico la battaglia per scacciarle dal campo. E non vi
dico le condizioni del campo dopo che quarantacinque pecore, inseguite da un pastore
imbizzarrito, lo hanno percorso in lungo e in largo. Quanto al vicino, meglio
dimenticarlo.
La
casa all’epoca non era dotata di corrente elettrica: accendevo perciò una
lampada a petrolio, facevo il giro della casa e mi inoltravo nella stalla,
perché le pecore da maggio in poi vanno munte mattina e sera. In realtà dipende
dal tipo di pecora, ma le nostre erano sarde, ovvero pecore da latte; fossero
state toscanelle avremmo avuto più agnelli e meno formaggio (e molta meno mungitura), ma sarde erano e mungerle dovevo.
L’operazione è più agevole a dirsi
che a farsi: ci si mette a cavalcioni sopra la pecorella dalla parte del
sedere, stringendola appena con le ginocchia perché se no se ne va, le si scosta
la coda e si accarezzano e massaggiano le mammelle per indurre il latte a
scendere verso i capezzoli. Il secchio è in posizione. Le altre pecore
osservano preoccupate. Si munge cercando di far andare il latte nel secchio.
Occorre fare grande attenzione al linguaggio corporeo della coda: quando si
muove vuole dire che la pecora sta per fare i suoi bisogni nel secchio, che
dunque va velocemente spostato senza mollare l’animale. Si fa finta di niente e
si riprende a mungere. Si libera la pecora che deve andare in un’altra sezione
della stalla, se no non la si riconosce più (sono tutte quasi uguali, e la
lampada a petrolio fa una luce assai misera). Alcune sono macchiate di colore
sulla groppa: sono quelle che stanno allattando l’agnello, e vanno lasciate in
pace. Si afferra un’altra pecora e così via.
A volte, nel
caldo e nel fetore, avvengono piccole rivoluzioni perché a differenza delle
capre, che vengono spontaneamente a farsi mungere ed addirittura si girano per
offrirtene l’opportunità, le pecore cercano di evitare l’inevitabile e sfuggire
nascondendosi fra le altre: comportamento stolto perché devono per forza esser
munte se si vogliono evitare mastiti ed altri dolorosi acciacchi. Ce n’era una,
detta Aeroplano, che mentre si era impegnati a mungere una sua consorella
–piazzati in posizione strategica così da mantenerle divise- prendeva la
rincorsa e volava letteralmente sopra la spalla del mungitore intento al suo
lavoro, atterrando nella zona retrostante da dove occorreva ripescarla. Si
facevano circa dieci litri di latte la mattina ed altrettanti la sera. Poi si
faceva il formaggio, ma questo è un altro capitolo.
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