sabato 16 novembre 2013

Pecore


Ero convinto che la mia esperienza di pastore si sarebbe tradotta in una serie di idilliache passeggiate con le amate pecorelle e poetiche escursioni collinari i cui protagonisti avrebbero svolto i rispettivi ruoli con amore e senso artistico innati: loro belle e bianche, soffici batuffoli che si stagliano sul verde dei prati, iconografici simboli di pacifica convivenza, ed io novello pastorello dotato di flauto, bucolicamente  titireggiante sotto una frondosa quercia (faggi qui non ce ne sono). Non fu così.
         Quei diffidenti animali non erano affatto bianchi –tranne che per brevissimi periodi dell’anno e solo se osservati da lontano- anzi, erano parecchio sporchi. Inoltre, l’estinzione del lupo, invece di generare uno stato di sana e grata fiducia nel destino e nel pastorello loro custode sembrava aver trasferito nei miei confronti una sfiducia umiliante che si manifestava in grandi fughe a dispersione ad ogni mio avvicinamento: forse perchè ero un pessimo flautista.
         Ma io non ero in caccia di applausi: volevo ordine e disciplina nella stalla e fuori. Camminavo per un’oretta su per la collina arrancando dietro il gregge che faceva di tutto per sfuggirmi, con brevissime soste a singhiozzo, e appena si svalicava eccole precipitarsi al galoppo verso un campo di lupinella (del vicino) sul quale finalmente si sparpagliavano ed assumevano una parvenza di quei poetici esseri che avevo immaginato.
Ma la dolce leguminosa dal bel fiore violetto, oltre ad avere la sfortuna di appartenere al vicino, non deve esser brucata in grandi quantità, soprattutto quand’è bagnata di rugiada, o può fare molto male all’ingordo ovino. Non vi dico la battaglia per scacciarle dal campo. E non vi dico le condizioni del campo dopo che quarantacinque pecore, inseguite da un pastore imbizzarrito, lo hanno percorso in lungo e in largo. Quanto al vicino, meglio dimenticarlo.
         La casa all’epoca non era dotata di corrente elettrica: accendevo perciò una lampada a petrolio, facevo il giro della casa e mi inoltravo nella stalla, perché le pecore da maggio in poi vanno munte mattina e sera. In realtà dipende dal tipo di pecora, ma le nostre erano sarde, ovvero pecore da latte; fossero state toscanelle avremmo avuto più agnelli e meno formaggio (e molta meno  mungitura), ma sarde erano e mungerle dovevo.       L’operazione è più agevole a dirsi che a farsi: ci si mette a cavalcioni sopra la pecorella dalla parte del sedere, stringendola appena con le ginocchia perché se no se ne va, le si scosta la coda e si accarezzano e massaggiano le mammelle per indurre il latte a scendere verso i capezzoli. Il secchio è in posizione. Le altre pecore osservano preoccupate. Si munge cercando di far andare il latte nel secchio. Occorre fare grande attenzione al linguaggio corporeo della coda: quando si muove vuole dire che la pecora sta per fare i suoi bisogni nel secchio, che dunque va velocemente spostato senza mollare l’animale. Si fa finta di niente e si riprende a mungere. Si libera la pecora che deve andare in un’altra sezione della stalla, se no non la si riconosce più (sono tutte quasi uguali, e la lampada a petrolio fa una luce assai misera). Alcune sono macchiate di colore sulla groppa: sono quelle che stanno allattando l’agnello, e vanno lasciate in pace. Si afferra un’altra pecora e così via.
         A volte, nel caldo e nel fetore, avvengono piccole rivoluzioni perché a differenza delle capre, che vengono spontaneamente a farsi mungere ed addirittura si girano per offrirtene l’opportunità, le pecore cercano di evitare l’inevitabile e sfuggire nascondendosi fra le altre: comportamento stolto perché devono per forza esser munte se si vogliono evitare mastiti ed altri dolorosi acciacchi. Ce n’era una, detta Aeroplano, che mentre si era impegnati a mungere una sua consorella –piazzati in posizione strategica così da mantenerle divise- prendeva la rincorsa e volava letteralmente sopra la spalla del mungitore intento al suo lavoro, atterrando nella zona retrostante da dove occorreva ripescarla. Si facevano circa dieci litri di latte la mattina ed altrettanti la sera. Poi si faceva il formaggio, ma questo è un altro capitolo.

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