Guardavo le mie scrofette dall’alto,
perché la finestra dava proprio sopra il maialaio. Grufolavano allegre, dandosi spallate e ingollando boccate di pastone,
crusca e farinaccio, che il loro benefattore –io- propinava loro due volte al
giorno. Petunia e Rubirosa erano con me da un bel po’di tempo e le loro schiene
ed i loro culoni insigni mi erano ben familiari: ci salutavamo mattina e sera, ed
io da buon padrone pensavo che non avessero difetti di alcun genere. E’ bello guardare i propri animali che
mangiano ed apprezzano il loro cibo. Ecco arrivare una tortora, una di quelle
datemi da un amico fiorentino nella cui casa si riproducono troppo velocemente,
per cui ogni tanto mi ritrovo con tre o quattro tubanti tortorelle cittadine,
ignare del grande mondo. Questa qui decide di planare sul truogolo e di
approfittare dal pastone. Assisto all’idilliaca scenetta. Ma…Un lampo. La
tortora non esiste più. Rubirosa se l’è divorata in un sol boccone, come fosse
un pezzo di pane. Non credo ai miei occhi, non so se sapete come succede, che
uno vede una cosa e non ci crede.
Passano i giorni, ho perdonato
Rubirosa. Decido che le due maiale, finora sempre state nel loro recinto e
casetta, possono fare un po’ di esercizio ed andare a mangiare le ghiande della
Piccola Grande Quercia da sole, senza che io debba raccoglierle per loro. Glielo spiego bene, prima di aprire il
cancello: uscite ma state attente che è
la prima volta, non allontanatevi troppo e ricordatevi che i maiali ritornano
sempre alla loro casa: poi apro il
cancelletto. Escono a cento all’ora, una dritta verso sud e una dritta verso
nord. Ma non sono amiche? Non potrebbero passeggiare educatamente insieme,
raggiungere il pascolo, stripparsi di ghiande e tornare a casa, come avevo
detto io? No. Al galoppo sfrenato, in direzioni opposte. Inseguo Petunia,
quella più culona, che saltella e ballonzola felice travolgendo tutto. Galoppa
per circa cinquanta metri, poi si affloscia esausta. Vado a consolarla, la
maratona non è per tutti, le dico. La quercia è appena più in là, coraggio. Mi
guarda mansueta e sgrufola contenta fra le ghiande. Arriva Rubirosa, gagliarda
ma col fiatone. Anche lei sotto la Piccola Grande Quercia, a mangiare ghiande
di roverella.
il mio più grande errore fu quello di dargli un nome. e di portarlo a passeggiare nel bosco. io davanti, lui dietro che mi seguiva e grufolava.
RispondiEliminaperché, da ingenuo assassino quale ero, giocavo con la mia vittima pensando fosse un compagno di scampagnate.
poi capii. quando lui cominciò a strillare. capii d'esser un sapiens molto ignorante. come un bambino inebetito al luna park. incoraggiato a pescare un pesciolino rosso e portarlo in giro dentro una busta di plastica.
è sempre sulla pelle degli altri che salvi la tua...