sabato 25 maggio 2013

Il Cerchio della Legge 5

Il Cerchio della Legge 5


         Come ogni cerimonia, la Danza del Sole –di cui esistono almeno due versioni che io conosca per avervi partecipato- è abbastanza semplice nel suo svolgimento, ma molto complessa e sofisticata nella sua preparazione. Esiste un aspetto logistico che deve tener conto di migliaia di particolari, e le Cape e Capi che dirigono le attività si aspettano –ed in effetti esigono- che ogni persona coinvolta sia costantemente al più alto livello di energia possibile. Urla, confrontazioni, allontanamenti dal cerchio sono all’ordine del giorno. Gli attrezzi devono essere in perfette condizioni, puliti, affilati ed ordinati nella loro postazione dedicata, e lì devono tornare quando non sono in uso. Ognuno deve essere equipaggiato con protezioni adatte –cappelli, creme solari, guanti. Bisogna essere attivi nelle due attenzioni: quella relativa al compito specifico che si sta svolgendo e che implica professionalità e sicurezza, e quella che, con racconti, canzoni, insegnamenti e ramificazioni pertinenti, mantiene il contatto e la consapevolezza fra i lavoratori. E’ molto facile, facendo un lavoro fisico, concentrarsi solo su di esso come se il resto del mondo non esistesse, privilegiando l’aspetto fisico dell’attività e dimenticandosi dell’aspetto spirituale, od emozionale, o mentale. Ma quelli che, come noi, stavano lavorando al riequilibrio del proprio cerchio personale attraverso lo studio delle Ruote di Medicina dovevano esercitarsi a mantenere accese tutte le risorse, soprattutto nella creazione del terreno cerimoniale. Un martello, per esempio, non è un semplice attrezzo inanimato e qualunque. Possiede infinite qualità che lo collegano al resto dell’universo: in un certo senso, è un nostro simile, e come tale va trattato. Ha una forma, un peso, una funzione; il suo manico di legno un tempo era parte di un albero. Quale albero? Perché faggio e non abete? Il suo ferro è stato fuso e formato: come? Sapremmo farlo, noi, un martello? E così via, ordinatamente scambiandoci punti di vista ed informazioni, disciplinandoci nel non cedere all’ottundimento indotto dalla ripetitività dei gesti o dal calor bianco che calcinava il terreno della danza.
I Medicine Singers arrivarono in gruppo su un pick-up azzurro che si fermò prima dell’ultima discesa che sfociava nella valletta. Per non sollevare troppa polvere e per manifestare rispetto verso i danzatori, i singers scesero a piedi lungo il sentierino serpeggiante nel bosco, e presero posto intorno al grande tamburo che avrebbe ritmato e dato impulso alla prossima danza. Una tenda sospesa copriva il gruppo ed il tamburo, proteggendo tutti loro con un’ombra gentile: noi danzatori eravamo invece in pieno sole, ognuno al suo posto all’inizio del proprio percorso di danza.     
Ciascuno impugnando la bacchetta con cui avrebbe battuto il tempo sul tamburo, ciascuno con il cappello a tesa larga ornato di piume e nastri e con una meravigliosa bottiglietta d’acqua un po’ nascosta (non bisogna mai distrarre gli assetati danzatori sventolando l’oggetto del loro desiderio), i sei Medicine Singers lanciarono qualche battuta per alleggerire l’atmosfera, ben sapendo che l’humor è il magico ingrediente in grado di trasformare e focalizzare gli stati d’animo. Ognuno di loro aveva partecipato ad almeno una Danza del Sole, nel corso del suo apprendistato, e dunque conosceva bene la confusa e rutilante situazione interiore di ogni danzatore alla fine della seconda giornata. Era il momento in cui si affievoliva il tormento della sete, del digiuno e della stanchezza e cominciava a far capolino uno stato di sovrattempo, dove non c’era spazio per il pensiero organizzato nè per una soverchia attenzione alla propria realtà fisica: liberato dalle pastoie della autocommiserazione e dei dubbi infiniti lo Spirito di ogni Danzatrice e Danzatore tentava timidamente di affacciarsi alla soglia della consapevolezza, e da lì, si sperava, avrebbe cavalcato il ritmo del tamburo e volato spinto e sostenuto dalle voci che all’unisono cantavano le antiche canzoni che da tempo immemorabile avevano accompagnato ogni Danza ed ogni battaglia per la guarigione dall'ignoranza.

1 commento:

  1. ci sono certamene delle scorciatoie più divertenti per "guarire dall'ignoranza"(magistrale!).
    tipo far le valigie ed andare a vivere alle Hawaii(splendidi...!)o seguire il proprio dàimon fin sulle montagne rocciose, come hai fatto per anni tu, Scudo...
    ma io. io che mi vedo per quel che sono e non per quel che avrei voluto essere, non posso non considerarmi un fan di ogni danza che guarisca dall'ignoranza!
    dici bene. concentrarsi solo sul lavoro fisico è come tagliare un albero senza salutarlo adeguatamente o cacciare senza rispetto e necessità.
    credo che ogni battaglia per la guarigione dall'ignoranza abbia una sua stagione e forse ebbi anch'io un breve periodo d'apprendistato autodidattico, forgiato dall'amore per il mare e dalla necessità d'imparare, rapidamente e senza sotterfugi, il rispetto.
    per la vita, per le onde, per il vento, per la barca(che si chiamava appunto"Wind and Wave"!).
    rispetto per i solitari pesci luna e per le imperturbabili tartarughe. per ogni alba e tramonto che ho avuto la fortuna di vedere.
    ma fu solo una parentesi incantata della mia vita.
    di un prima, nebuloso.
    di un dopo rancoroso e forse...di un oggi in cui "comincia a far capolino uno stato di sovrattempo","liberato dalle pastoie della autocommiserazione e dei dubbi infiniti" per, se non proprio "volare", almeno fare di volta in volta qualche "salto" a casa d'amici...


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