Saggio sarebbe
andarci piano con le questioni esistenziali, soprattutto la mattina presto, ed
in particolare quando il caldo è biribisso. Ma siccome ho lasciato passare un
po’ di tempo prma di riprendere in mano questa pagina, il caldo non è più
biribisso, anzi, fa piuttosto fresco: perciò un po’ di sano esistenzialismo può
anche starci.
Vivere nelle
campagne per così tanto tempo, a meno d’esservi nati e cresciuti e di
considerarlo un destino ineluttabile, richiede periodiche rimotivazioni. In genere si superano le difficoltà e si
risolvono i vari problemi cavalcando l’onda dell’entusiasmo sorretto
dall’energia che deriva dall’assenza di dubbi, oltre che dalla più giovane età,
che notoriamente ci rende immortali: ma i dubbi affiorano ai margini di ogni attività
e di ogni pensiero organizzato e forse servono addirittura ad equilibrare una
certa qual ottusità che a volte pervade, acritica, le nostre scelte. Via via
che gli ostacoli vengono superati e che si instaura un sistema di abitudini, le
sfide perdono di appeal e la ripetizione dei gesti smussa la novità
dell’impresa, ed ecco allora diventare sempre più importante il sapere “perché”
si fanno le cose e così cercare un livello più profondo di conoscenza di sé.
Quando si apre
il capitolo dei “perché” ci si accorge di aver scoperchiato un cantuccio del
vaso di Pandora. Non c’è fine alla catena dei perché (come dimostrano benissimo
i bambini) e dunque non c’è una risposta
definitiva: bisogna navigare sul grande mare sapendo che è infinito, e trovare
ogni tanto un porto dove riparare e riposare ed eventualmente tirare qualche
somma, ricordando che si tratta di risultati parziali. Questi porti tuttavia
non possono, per quanto idilliaci e dotati di palme e spiagge e di ornate
mescolatrici di mojitos, sostituirsi ad una robusta motivazione di base che
sostenga il viaggio: non è l’arrivare, ma l’andare che conta. Le perle di una
collana non sarebbero collana se non ci fosse il filo che le tiene assieme.
Ecco dunque
che la vita avrebbe bisogno di un motivo per esser vissuta, un filo che ne unisca
gli episodi. Ci si ostina a desiderarla, difenderla, prolungarla… a che scopo?
Per poter fare il prossimo delizioso pranzetto a Ceylon a base di gamberi e
salsa d’aglio? Per incontrare la prossima fidanzata/o? Ebbene, visto che questo genere di domande è
imbarazzante e che eventuali risposte potrebbero risultare dirompenti, ecco che
una soluzione accettata dai più sta nell’accomodarsi in una vaga amnesia, dove
domande come “Che ci stiamo a fare?” possono rimanere sine die nel parco delle
dimenticanze impunite.
La società
tende a darci un ruolo, un’identificazione che ci renda reperibili (e
naturalmente controllabili). Ma questo è un bisogno altrui, e per esser
soddisfatto ha bisogno di corde e chiodi, gabbie e mura che garantiscano la
continuità della personalità. La personalità però cambia di continuo perché noi
siamo in realtà –a questo livello evolutivo- fondamentalmente portatori di
maschere. Non ci conosciamo. Non sappiamo davvero chi siamo: infatti
collochiamo le domande del tipo “Chi siamo?” nel limbo delle questioni senza
risposta. Dobbiamo dunque sostituire la nostra profonda essenza –che per
fortuna non teme il passar del tempo perché davvero immortale- con maschere
appropriate alle circostanze. E visto che il lavoro di costruzione di queste
maschere è molto impegnativo e costoso, in seguito dobbiamo continuare ad
usarle come fossero un capitale duramente accumulato e che sarebbe idiota
buttar via. Insomma, ci crediamo: ci convinciamo che quell’agglomerato di
abitudini, emozioni, nevrosi, e rari talenti siamo veramente noi.
In sintesi:
sarebbe bello dare un significato alle nostre vite, ma per farlo dovremmo
affrontare le domande esistenziali e siccome non abbiamo –o ci son state
sottratte- le risorse per rispondere preferiamo consumare perla dopo perla,
porto dopo porto senza mai considerare il filo che unisce l’insieme. Perciò, a
ben guardare, le nostre vite non hanno significato.
ehi ehi ehi...!
RispondiEliminaVIVI COME SE...PENSA COME SE...
certo che non ne hanno, Scudo!
ma tu pensa. pensa se solo avessero un qualche significato...dove finirebbe il "libero arbitrio"(vero Alex?!)
un mondo illuminato da certezze celesti ed opportunisticamente gesuitico nella prassi...
e che male c'è, se ci facciamo due gamberi in salsa d'aglio a Ceylon od una birra ghiacciata nel mezzo della Death Valley?
ringraziamo, piuttosto, i falsi dei di ogni fede e credo che filano le nostre illusorie certezze lasciandoci sorseggiare in santa pace un buon moijto a Tobago...
averne ed averne, di perle, esegetico Scudo!
(se solo pensiamo a quanti fratelli vivono di paccottaglia...I say good?)