Crescita crescita crescita. Non si sente altro rintocco di speranza che questo: crescita. Naturalmente, mi dispiace dirlo, ma si tratta di un inganno, di una di quelle parole d’ordine che, prive di significato definibile, esistono solo per la loro ridondanza e la loro capacità di esser interpretate da ciascuno come meglio gli pare.
Se uno magari per sbaglio si sofferma a considerare il mondo naturale, quello di cui facciamo parte e dal quale facciamo di tutto per tenerci separati, si accorge che nulla cresce indefinitamente e che ogni cosa, ogni fenomeno organizzato (e tutto è organizzato, anche un granello di sabbia) ha un periodo di vita alla fine del quale deve disgregarsi per ritornare al primitivo stato atomico, o subatomico. Si chiama morte, ma è una trasformazione: tuttavia il simbolo è talmente forte da costringerci ad esorcizzarlo, di solito mediante apposita amnesia.
Se si esorcizza l’imbarazzante fenomeno della morte fino a dimenticarsene si può in effetti sentirsi immortali, e quindi operare in un tempo illimitato: ci si può persino illudere che esista qualche fenomeno dotato di capacità di crescita illimitata, e combattere disperatamente per impedirgli di decrescere. Siccome tuttavia tutti i fiumi prima o dopo, in un modo o nell’altro arrivano al mare e tutte le montagne sfiorano il cielo, così anche le umane costruzioni hanno un loro tempo, e bene faremmo a ricordarcene e ad accorgerci quando, avendo ormai svalicato, cominciamo a scendere.
L’Europa sta scendendo. Decresce. E’ un fatto naturale, proprio come perfettamente esemplificato dai molti imperi che sono assurti a gran gloria per poi vedere le proprie pompe sgonfiarsi, spesso in favore di nuovi aspiranti. Quel che accade, secondo me, è che dopo l’immenso sforzo necessario ad impadronirsi del mondo conosciuto –sforzo che implica miriadi di morti orrende e sofferenze atroci- e la fatica del mantenere quanto conquistato, sopraggiunge una stanchezza che si manifesta in una rilassatezza dei costumi, in ruberie e basso governo, in nepotismi e scarso senso dello stato. Potrebbe essere che il karma, dopo un certo lasso di tempo, faccia sentire il proprio peso, o forse è solo l’ordine naturale delle cose: fatto sta che tutti gli imperi –siano essi guerreschi o politici o economici- finiscono.
Sapendo ciò, non sarebbe meglio concepire una diversa interpretazione del concetto di crescita? Vogliamo forse continuare per sempre a bastonarci l’un l’altro perché per noi “crescere” significa diventare più ricchi? Non è evidente che ognuno cresce alle spese di qualcun altro? Si chiama competizione, che tradotto in termini economici vuol dire lotta, guerra, e tanto pelo sullo stomaco: proprio quel pelo che ci impedisce di trovare nuove definizioni alla parola “crescita”.
Se davvero vogliamo crescere è necessario capire che dobbiamo operare a livello di sistemi di credenza e sistemi di valori. Vale a dire: abbiamo disperato bisogno di educatori ed educatrici ben preparati che insegnino ai giovanissimi fin dall’inizio le regole fondamentali del vivere comune, quelle che devono sottendere ed informare i comportamenti umani al di là e a volte al di sopra dei desideri individuali.
Se ormai è obsoleto pensare di crescere in quantità, si può però crescere in qualità. La qualità non è legata al soldo. La bellezza non ha bisogno di cornici ed orpelli. Ha bisogno di qualcuno che la ami.
"S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo..."
RispondiEliminano, pare di no, Gotamo Scudo, il mondo ed i suoi sottoprodotti umani non "concepiscono" una "diversa" crescita.
il nostro cervello non è che l'evoluzione di quello dei platelminti, ma l'istinto predatorio e parassita sono rimasti inalterati.
del resto cosa racconta la favoletta morale partorita dalla mente di quel platelminto evoluto che fu Dante Alighieri?!
o, l'intuizione mirabile del Buddha che vedeva l'esistenza come un immenso purgatorio da cui il karman può liberarsi per meriti "più relativi che assoluti"?!
molto relativi...(se posso permettermi!)
ma oramai il tempo ed i numeri sono contro.
purtroppo per gli educatori/trici; oggidì non possono più interagire coi loro discepoli, nell'agorà.
perché i discepoli(come sempre distratti ed irrequieti), son diventati milioni, miliardi!
e tu m'insegni, provetto incisore all'acquaforte, che la quantità è nemica della qualità!
non resta che relativizzarsi...(nell'accezione buddhista!)